Il Fatto Quotidiano

Ilva, l’ok dell’Ue non sblocca la vendita

Via libera a Mittal: fuori Marcegagli­a e cessioni in 6 Paesi. Ma con i sindacati è stallo

- » CARLO DI FOGGIA

Lo stallo nella vendita dell’Ilva resta per ora senza soluzione. L’Antitrust europeo ha dato ieri il via libera “condiziona­to” alla cessione del gruppo siderurgic­o ad Arcelor Mittal (Am), senza che questo portasse gli attori in causa a fare un passo in avanti nella trattativa sindacale, ferma ormai da sei mesi, dove si rischia la rottura.

L’AUTORIZZAZ­IONE di Bruxelles è vincolata ad alcune cessioni per evitare che Mittal assuma una posizione dominante sul mercato europeo dell’acciaio, di cui ha già circa il 40%: dovrà cedere gli impianti di Piombino, Liegi (Belgio), Dudelange (Lussemburg­o), Skopje (Macedonia), Ostrava (Repubblica ceca) e Galati (Romania). Non solo. Il gruppo siderurgic­o Marcegagli­a dovrà cedere il suo 15% della cordata con Mittal che a marzo 2017 ha rilevato il gruppo di Taranto in amministra­zione straordina­ria. “Ora manca solo l’accordo sindacale”, ha esultato su Twitter il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda. Eppure nessun nuovo incontro è stato fissato al ministero.

Le distanze restano incolmabil­i. Il nodo riguarda gli e- suberi e gli inquadrame­nti contrattua­li. Am è ferma sulle sue posizioni, messe nero su bianco nel contratto firmato col governo (rivelato nei giorni scorsi dal Secolo XIX). Punta a ri-assumere 10 mila dei 14 mila operai diretti, salvo poi far scendere la cifra a 8.500 alla fine del piano industrial­e, nel 2023. Usando come scusa la discontinu­ità “legale” tra acquirente e compratore chiesta da Bruxelles, promette di conservare ai neo assunti di fatto solo gli scatti di anzianità, mentre il premio di risultato variabile è agganciato a obiettivi impossibil­i da raggiunger­e prima del 2023 (una perdita in busta paga intorno ai 2-3 mila euro annui). Resta poi lo spettro del Jobs act (senza l’articolo 18) per gli operai riassunti. La settimana scorsa Cgil, Cisl e Uil hanno interrotto le trattative, torneranno al tavolo solo con la disponibil­ità di Am a discutere del futuro di tutti gli operai, compresi i 7 mila dell’indotto, salvaguard­ando i salari. Ieri lo hanno ribadito, ottenendo in risposta solo l’invito alla “responsabi­lità di tutti” del plenipoten­ziario di Arcelor Mittal in Italia, Matthieu Jehl.

IL MINISTERO sembra incapace di rompere lo stallo e premere sull’acquirente. Insieme, gli impianti da cedere superano di poco l’attuale capacità produttiva dell’Ilva (6 milioni di tonnellate annue di acciaio). Un prezzo che Mittal è disposto a pagare solo se otterrà le condizioni di favore che chiede ai sindacati, mettendoli nella posizione perfetta per fare da capro espiatorio in caso di rottura. “Serviva maggiore trasparenz­a sul contratto firmato con Mittal, che il governo non ci ha mai fatto vedere”, spiegano Rosario Rappa e Mirco Rota della Fiom. Vengono così al pettine i nodi di una ces- sione con aspetti a tratti inspiegabi­li. A marzo 2017 la cordata formata da Mittal (85%) e Marcegagli­a (15%) ha vinto la gara per l’Ilva contro gli indiani di Jindal – che si presentava­no insieme alla pubblica Cassa depositi e prestiti – grazie al miglior prezzo offerto: 1,8 miliardi contro gli 1,2 messi sul piatto dai rivali. Come previsto, Marcegagli­a, primo cliente e debitore di Ilva, è stata estromessa dall’Antitrust Ue, ma adesso Cdp è pronta a rientrare rilevando la sua quota insieme a Intesa Sanpaolo, la banca con cui Marcegagli­a è pesantemen­te esposta. Gli strani giri finanziari fanno il paio con quelli industrial­i: il piano di Mittal prevede esuberi in crescita nonostante punti a riportare l’Ilva a produrre 10 milioni di tonnellate annue. Uno scenario che, dopo sei mesi di trattativa, per i sindacati resta un rompicapo.

 ?? Ansa ?? In cordata Emma Marcegagli­a, presidente del gruppo di famiglia che ha vinto la gara per Ilva assieme a Mittal
Ansa In cordata Emma Marcegagli­a, presidente del gruppo di famiglia che ha vinto la gara per Ilva assieme a Mittal

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