CAPI E DEMOCRAZIA: L’OSSIMORO POST-VOTO
Èpossibile prendere una boccata d’aria meno greve di quella nella quale siamo immersi e, sottraendoci al ruolo di voyeur costretti a seguire una politica politicante e un’antipolitica non meno politicante impegnate in mosse e contromosse varie, affrontare qualche questione politica più seria: democrazia partitocrazia, capi-partitocrazia (brutto nome di ancor più brutta cosa, come il trasformismo per Carducci)… cose così, sia pure partendo proprio da quella patologia della politica che abbiamo davanti?
IL DISCORSOpotrebbe cominciare dall’ennesima uscita di un personaggio evidentemente poco amato dai suoi adoratori, i quali, se oltre ad adorarlo gli volessero bene overamente, al solo vederlo arrabattarsi per farsi ritrarre aggrappato a un Salvini, dovrebbero fare di tutto per indurlo a uscire di scena al più presto, magari con l’altera dignità di Gloria Swanson nel finale di
Viale del tramonto, per rifugiarsi, con cortigiani, cortigiane e compagnia cantante al seguito, in qualche isola dei mari del sud dove aver pace co’ seguaci sui in un susseguirsi di cene eleganti. Tanto ormai, come ha rilevato la figlia con comprensibile orgoglio – perché anche i padri so’ piezz’e core – è entrato nella storia (cosa innegabile, ammetteranno i suoi detrattori, ma non dirimente, visto che è riuscita anche a un Erostrato o a Jack lo Squartatore). Parliamo di Berlusconi, naturalmente, l’unto del popolo stavolta non bisunto, che il 20 aprile si è detto disgustato perché “gli italiani hanno votato molto male!”
Pur non osando esprimerla con la stessa franchezza perché non sono ancora arrivati a uguagliarne la faccia in similbronzo, nello stato maggiore del Pd hanno dimostrato di condividere in pieno l’opinione di Berlusconi. Al loro partito, come si sa, è riuscita un’impresa storica: dimezzare o quasi i consensi ottenuti quattro anni fa alle Europee. Ma è nelle avversità che rifulge la tempra degli uomini. Con non comune stoicismo, tutti i cavalieri che fecero l’impresa sono rimasti saldi in sella come se nulla fosse (squadra che perde non si cambia) con la sola eccezione del loro al- quanto smargiasso capintesta, che ha accennato a scendere da cavallo, ma solo per finta, tanto che nessuno ha sospettato che facesse sul serio. Per fortuna, comunque, non è più come una volta, quando in casi analoghi c’era il rischio che uno si chiudesse in una stanza e si facesse saltare le cervella: oggi i complessi di colpa hanno lasciato il campo a un diffuso complesso di innocenza, o a una pura e semplice mancanza di complessi (almeno di inferiorità). Pur bofonchiando di sfuggita le parole più note di un suo quasi omonimo (Posso aver fallato) il capintesta alquanto smargiasso non ha potuto però fare autocritica (e i suoi reggicoda idem) perché non ha trovato niente da autocriticare, avendo il suo governo fatto sempre e solo cose meravigliose. Corollario implicito: se il partito del piccolo gradasso (non possiamo chiamarlo sempre smargiasso) ha subito una débâcle è stato perché gli italiani sono una massa di ingrati e mentecatti.
Buone notizie sugli italiani, invece, da un altro fronte, quello del (non)partito della democrazia diretta, che si è dato un capo politico (sì, una democrazia diretta… da un capo politico, e allora?) il quale ha inteso il proprio ruolo come quello di un qualsiasi capo-partito autorizzato a fare e disfare di tutto, salvo sottoporlo a ratifica a po- steriori, cioè a cose ormai fatte o disfatte. Nel susseguirsi di fughe in avanti, marce indietro, cambiamenti di fronte della sua strategia non sono mancati gli errori, ma si sa che sbagliando si impara: e il giovanotto ha molto da imparare. Basti pensare alle prime righe della sua lettera al Corriere della Sera di qualche giorno fa: “Ho girato… ho ripetuto… avrei proposto… avevo ribadito…”. Viene in mente il titolo di uno degli ultimi film di Blasetti, Io io io… e gli altri, ma con una variazione minima della punteggiatura: Io io io. E gli altri?. L’uso della prima persona singolare era sconsigliato da Gadda per il suo carattere “esibitivo, autobiografante o addirittura indiscreto”. De gustibus, ovviamente. Ma qui non è solo questione di gusti. È che, se un capo politico finisce (anzi, comincia) con l’identificare non solo se stesso col suo (non)partito, ma anche il suo (non)partito con se stesso, ne può nascere, e difatti ne sta nascendo, una buriana perché c’è ancora gente – questa la buona notizia – che intende democrazia, partecipazione ecc. non come parole di cui riempirsi la bocca, ma come valori da mettere in pratica. A questo punto sarebbe ora di passare all’agognata boccata d’aria di cui si diceva, se non fosse che non solo il tempo è tiranno, ma anche lo spazio di un giornale, e quello concessoci è già finito, per cui la cosa va rinviata a un’altra volta. Con la premessa/promessa che se si ricomincerà da Berlusconi, non sarà per buttargli la croce addosso, ma per dimostrargli comprensione. Anche perché sarà del “Berlusconi che è in noi” che in realtà parleremo.