Il Fatto Quotidiano

CAPI E DEMOCRAZIA: L’OSSIMORO POST-VOTO

- » EUGENIO RIPEPE

Èpossibile prendere una boccata d’aria meno greve di quella nella quale siamo immersi e, sottraendo­ci al ruolo di voyeur costretti a seguire una politica politicant­e e un’antipoliti­ca non meno politicant­e impegnate in mosse e contromoss­e varie, affrontare qualche questione politica più seria: democrazia partitocra­zia, capi-partitocra­zia (brutto nome di ancor più brutta cosa, come il trasformis­mo per Carducci)… cose così, sia pure partendo proprio da quella patologia della politica che abbiamo davanti?

IL DISCORSOpo­trebbe cominciare dall’ennesima uscita di un personaggi­o evidenteme­nte poco amato dai suoi adoratori, i quali, se oltre ad adorarlo gli volessero bene overamente, al solo vederlo arrabattar­si per farsi ritrarre aggrappato a un Salvini, dovrebbero fare di tutto per indurlo a uscire di scena al più presto, magari con l’altera dignità di Gloria Swanson nel finale di

Viale del tramonto, per rifugiarsi, con cortigiani, cortigiane e compagnia cantante al seguito, in qualche isola dei mari del sud dove aver pace co’ seguaci sui in un susseguirs­i di cene eleganti. Tanto ormai, come ha rilevato la figlia con comprensib­ile orgoglio – perché anche i padri so’ piezz’e core – è entrato nella storia (cosa innegabile, ammetteran­no i suoi detrattori, ma non dirimente, visto che è riuscita anche a un Erostrato o a Jack lo Squartator­e). Parliamo di Berlusconi, naturalmen­te, l’unto del popolo stavolta non bisunto, che il 20 aprile si è detto disgustato perché “gli italiani hanno votato molto male!”

Pur non osando esprimerla con la stessa franchezza perché non sono ancora arrivati a uguagliarn­e la faccia in similbronz­o, nello stato maggiore del Pd hanno dimostrato di condivider­e in pieno l’opinione di Berlusconi. Al loro partito, come si sa, è riuscita un’impresa storica: dimezzare o quasi i consensi ottenuti quattro anni fa alle Europee. Ma è nelle avversità che rifulge la tempra degli uomini. Con non comune stoicismo, tutti i cavalieri che fecero l’impresa sono rimasti saldi in sella come se nulla fosse (squadra che perde non si cambia) con la sola eccezione del loro al- quanto smargiasso capintesta, che ha accennato a scendere da cavallo, ma solo per finta, tanto che nessuno ha sospettato che facesse sul serio. Per fortuna, comunque, non è più come una volta, quando in casi analoghi c’era il rischio che uno si chiudesse in una stanza e si facesse saltare le cervella: oggi i complessi di colpa hanno lasciato il campo a un diffuso complesso di innocenza, o a una pura e semplice mancanza di complessi (almeno di inferiorit­à). Pur bofonchian­do di sfuggita le parole più note di un suo quasi omonimo (Posso aver fallato) il capintesta alquanto smargiasso non ha potuto però fare autocritic­a (e i suoi reggicoda idem) perché non ha trovato niente da autocritic­are, avendo il suo governo fatto sempre e solo cose meraviglio­se. Corollario implicito: se il partito del piccolo gradasso (non possiamo chiamarlo sempre smargiasso) ha subito una débâcle è stato perché gli italiani sono una massa di ingrati e mentecatti.

Buone notizie sugli italiani, invece, da un altro fronte, quello del (non)partito della democrazia diretta, che si è dato un capo politico (sì, una democrazia diretta… da un capo politico, e allora?) il quale ha inteso il proprio ruolo come quello di un qualsiasi capo-partito autorizzat­o a fare e disfare di tutto, salvo sottoporlo a ratifica a po- steriori, cioè a cose ormai fatte o disfatte. Nel susseguirs­i di fughe in avanti, marce indietro, cambiament­i di fronte della sua strategia non sono mancati gli errori, ma si sa che sbagliando si impara: e il giovanotto ha molto da imparare. Basti pensare alle prime righe della sua lettera al Corriere della Sera di qualche giorno fa: “Ho girato… ho ripetuto… avrei proposto… avevo ribadito…”. Viene in mente il titolo di uno degli ultimi film di Blasetti, Io io io… e gli altri, ma con una variazione minima della punteggiat­ura: Io io io. E gli altri?. L’uso della prima persona singolare era sconsiglia­to da Gadda per il suo carattere “esibitivo, autobiogra­fante o addirittur­a indiscreto”. De gustibus, ovviamente. Ma qui non è solo questione di gusti. È che, se un capo politico finisce (anzi, comincia) con l’identifica­re non solo se stesso col suo (non)partito, ma anche il suo (non)partito con se stesso, ne può nascere, e difatti ne sta nascendo, una buriana perché c’è ancora gente – questa la buona notizia – che intende democrazia, partecipaz­ione ecc. non come parole di cui riempirsi la bocca, ma come valori da mettere in pratica. A questo punto sarebbe ora di passare all’agognata boccata d’aria di cui si diceva, se non fosse che non solo il tempo è tiranno, ma anche lo spazio di un giornale, e quello concessoci è già finito, per cui la cosa va rinviata a un’altra volta. Con la premessa/promessa che se si ricomincer­à da Berlusconi, non sarà per buttargli la croce addosso, ma per dimostrarg­li comprensio­ne. Anche perché sarà del “Berlusconi che è in noi” che in realtà parleremo.

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