Paolo Ferrari, il paradosso dell’eternità in un Dash
Cosa resterà di noi? Ce lo chiediamo ogni volta che scompare un personaggio pubblico, quasi ogni giorno visto che sta scomparendo la prima generazione multimediatica (per questo abbiamo l’impressione che “si muoia di più”), e ogni volta ci ripetiamo che la memoria di chi va resterà nella memoria di chi resta. Nel caso di Paolo Ferrari, c’è solo l’imbarazzo della scelta; attore di classe per più di mezzo secolo in radio, cinema, televisione e soprattutto a teatro. Dalle commedie sofisticate in coppia con Valeria Valeri, fino a Strehler, Ronconi, Zeffirelli...
In Tv è stato un perfetto Archie Goodwin, dandy farfallone e sciupafemmine, esatto doppio del
Nero Wolfe di Tino Buazzelli. Eppure. Eppure, per una strana alleanza tra la vita e la memoria, la stessa per cui Lucio Battisti ha più chance di Beethoven – e Orietta Berti più chance di Lucio Battisti – la prima cosa per cui Paolo Ferrari continua a vivere è un umile spot, il padre di tutti gli spot sui detersivi. Lo spot del Dash che lava così bianco “che più bianco non si può”, girato nel bianco e nero degli anni 60 (che più bianco e nero non si può). Impeccabile e signorile come sempre, ci prova in tutti i modi a scambiare il Dash con i due fustini che si trascina dietro, ma non una massaia accetterà lo scambio. Mai e poi mai: altro che il due di picche di Salvini. Ecco la vera lezione di un vero attore. Per quanto ci diamo da fare, cosa è destinato a rimanere di noi? Un fustino di detersivo. Due sono già troppi.