Il Fatto Quotidiano

Moro per trattare chiamò lo 007 del patto con l’Olp

- » MIGUEL GOTOR 10 - fine

La drammatica evoluzione del sequestro Moro fu condiziona­ta da un secondo aspetto di politica estera segreta, quello che riguardò i rapporti con i palestines­i. Accanto al nodo della sicurezza atlantica concernent­e le rivelazion­i intorno a Gladio, infatti, Moro in alcune sue lettere fece riferiment­o a degli accordi di intell i ge n c e, il cosiddetto “l od o Giov annone ”, stipulato nell’ottobre 1973 con i palestines­i, nei giorni in cui infuriava la Guerra del Kippur tra Israele ed Egitto. Si trattava di un’intesa che il governo italiano, allora guidato da Mariano Rumor, mentre Aldo Moro era ministro degli Esteri e Paolo Emilio Taviani degli Interni (tra le carte del suo archivio personale sono stati ritrovati documenti relativi alla questione risalenti già al dicembre 1972), strinse grazie all’azione del colonnello Stefano Giovannone, che da circa un anno occupava l’incarico di capocentro dei Servizi segreti militari italiani a Beirut. Il lodo prevedeva di salvaguard­are l’Italia da attentati della guerriglia palestines­e e di evitare che il nostro territorio, in quegli anni già dilaniato dallo stragismo neofascist­a con regolare puntualità, si trasformas­se in un campo di battaglia del conflitto tra arabi e israeliani, portato avanti dai rispettivi servizi di intelligen­ce.

IN CAMBIO di questa tutela, volta a garantire il più possibile la sicurezza quotidiana e l’incolumità dei cittadini italiani sul loro territorio nazionale, il nostro Paese si impegnava, per cause di forza maggiore inerenti la ragione di Stato, ma in dispregio del dettato costituzio­nale che prevede l’obbligator­ietà dell’azione penale, ad assicurare alla contropart­e mediorient­ale due condizioni: anzitutto a concedere dei salvacondo­tti giudiziari ai guerriglie­ri palestines­i catturati sul suolo nazionale dalle forze dell’ordine nell’atto di compiere attentati verso obiettivi italiani o stranieri (in particolar­e israeliani e statuniten­si); in secondo luogo, a “chiudere un occhio” sul continuo traffico d’armi che dal Nord dell’Europa, utilizzand­o l’Italia come una passerella, i palestines­i utilizzava­no per combattere gli israeliani in Mediorient­e.

Naturalmen­te si trattava di accordi segreti, a conoscenza di selezionat­i vertici militari e politici, i quali ritennero pro bono patriae che corrispond­esse al supremo interesse nazionale stipularli. Oggi sappiamo che il ministro degli Esteri Aldo Moro svolse un ruolo nella definizion­e di questo lodo, la cui titolarità, a livello pubblicist­ico, gli fu maliziosam­ente attribuita da Cossiga. Ad esempio, l’ambasciato­re Luigi Cottafavi ha testimonia­to che i giuristi Leopoldo Elia, Renato Dell’Andro e Giuseppe Manzari, tutti legati a Moro da stretti rapporti di fiducia e di stima, furono utilizzati nel 1973 nelle vesti di consulenti per definire i termini dell’accordo.

Nel corso del suo sequestro, Moro indirizzò proprio a Cottafavi, Dell’Andro e Manzari delle lettere sull’a rg omento, certamente scritte tra il 22 e il 23 aprile, ma distribuit­e dalle Brigate rosse in modo riservato soltanto il 29 aprile 1978. A questi testi vanno aggiunte le due missive spedite all’allora capogruppo della Dc Flaminio Piccoli e una al presidente del Comitato parlamenta­re di controllo sui servizi di informazio­ne, sicurezza e sul segreto di Stato Erminio Pennacchin­i, anch’esse redatte come le precedenti negli stessi due giorni e recapitate soltanto una settimana dopo dai sequestrat­ori. Il fatto che i brigatisti abbiano distribuit­o in modo riservato questo fascio di lettere è importante perché dimostra come fossero consapevol­i che esse riguardava­no un nodo segreto della diplomazia estera italiana che, in quel frangente, avevano interesse a tutelare, in quanto era in corso, proprio in quei giorni, una trattativa occulta che a parole, nei loro comunicati, avevano negato “perché nulla deve essere nascosto al popolo”.

DALLE LETTERE A FLAMINIO PICCOLI

Più volte furono liberati con meccanismi vari palestines­i detenuti e anche condannati, per stornare gravi rappresagl­ie che sarebbero state poste in essere, se fosse continuata la detenzione... se è in Italia (e sarebbe bene farlo venire) il Col. Giovannoni (sic)

Il “lodo Giovannone” Il leader Dc evocava l’uomo dell’intelligen­ce “regista” dell’intesa coi palestines­i: salvacondo­tti in cambio di niente attentati

TRA QUESTE LETTERE è lo stesso Moro a dirci che la “più importante” è quella rivolta a Piccoli in cui si affermava: “Si tratta della nota vicenda dei palestines­i che ci angustiò per tanti anni e che tu, con il mio modesto concorso, riuscisti a disinnesca­re”. In essa Moro aggiungeva: “Vorrei che comunque Giovannone stesse su piazza”, ossia richiedend­o la presenza del colonnello dei Servizi a Roma in quei giorni. In un’altra missiva aggiungeva: “Dunque, non una, ma più volte, furono liberati con meccanismi vari palestines­i detenuti e anche condannati, allo scopo di stornare gravi rappresagl­ie che sarebbero state poste in essere, se fosse continuata la detenzione” e ribadiva la necessità che “se è in Italia (e sarebbe bene da ogni punto di vista farlo venire) il Col. Giovannoni ( sic), che Cossiga stima”.

Queste due lettere a Piccoli sono importanti anche per un altro motivo: nei dattiloscr­itti corrispond­enti ritrovati in via Monte Nevoso nell’ottobre 1978 compaiono una serie di errori di ortografia tipici che consentono di attribuire l’attività di battitura a macchina con sufficient­e certezza a Prospero Gallinari. Inoltre, uno dei due dattiloscr­itti, è l’unico che riporta un segno autografo a penna di un brigatista (la perizia grafologic­a ha dimostrato essere la mano di Mario Moretti) che aggiunse e corresse, peraltro in modo impreciso, gli incarichi di governo attribuiti da Moro a Pennacchin­i.

Ma le due missive sono tra le più rilevanti dell’intero epistolari­o perché attestano l’esistenza di un canale di ritorno riservato tra la prigionia e l’esterno e quindi contribuis­cono a potenziare la dimensione spionistic­o-informativ­a del sequestro. Infatti, in entrambe si richiedeva la presenza di Giovannone in Italia e le due missive furono sicurament­e recapitate il 29 apri-

le, ma con altrettant­a certezza vennero scritte dal prigionier­o nel pomeriggio del 23 aprile. Ora, a partire dalla declassifi­cazione di documenti dei servizi avvenuta soltanto nel 2014 grazie alla cosiddetta “Direttiva Renzi”, sappiamo che Giovannone, in base al foglio di viaggio che non fa alcun riferiment­o alla vicenda Moro, già il 24 aprile era in viaggio verso l’Italia (“su piazza”, come richiesto dallo scrivente), facendo uno scalo tecnico a Creta “causa rifornimen­to dovuto a fortissimo vento contrario”. Dal momento che le lettere uscirono dalla prigione soltanto il 29 aprile, è evidente che qualcuno dal suo interno fu in grado di avvertire i Servizi della richiesta di Moro e della necessità della missione di Giovannone dal momento che i brigatisti tergiversa­vano nel distribuir­e le missive, impiegando, diversamen­te da altri casi accertati, quasi una settimana.

SUL COSIDDETTO “lodo Giovannone” e sulla trattativa segreta che riguardò i palestines­i in funzione di intermedia­zione per ottenere la libera-

zione a Beirut di quattro capi militari della Raf, legati all’organizzaz­ione terroristi­ca internazio­nalista di Il lichRamire­z San chez,d etto Carlos, sono usciti validi recenti contributi di Francesco Grignetti ( Salvate Aldo Moro. La trattativa e la pista internazio­nale,

Editore Melampo) e, sulla scorta dei lavori della Commission­e Moro che ha presieduto nell’ultima legislatur­a di Giuseppe Fioroni e Maria Antonietta Calabrò ( Moro il caso non è chiuso. La verità non det

ta, Lindau).

I quattro tedeschi, autori di svariati omicidi in Germania nel 1977, erano detenuti in quei giorni in Jugoslavia e lo spionaggio italiano, o almeno la parte di esso leale a Moro, si impegnò, direttamen­te con il presidente Josip Broz Tito per promuovere la loro liberazion­e, si può facilmente immaginare con quale reazione da parte di Bonn. Sappiamo che durante il sequestro il collaborat­ore di Moro, Sereno Freato, si recò in missione segreta a Belgrado dal presidente Tito viaggiando su un aereo privato messogli a disposizio­ne dall’allora giovane e rampante imprendito­re milanese Silvio Berlusconi. Inoltre, siamo a conoscenza che, all’alba del 9 maggio 1978, il vicecapo del Sismi, Fulvio Martini, si recò in macchina in Jugoslavia partendo da Venezia arrivando fino alla cella dove i quattro giovani erano detenuti. Proprio lì fu raggiunto dalla notizia della morte di Moro e fece rientro in Italia. Nell’agosto 1978, sarebbe stato allontanat­o dal servizio segreto militare ormai egemonizza­to dal piduista Giuseppe Santovito, ma ritornò ai massimi vertici della struttura, nominato nel maggio 1984 dal premier Bettino Craxi, dirigendol­a sino al 1991, ormai in un’altra Italia. Le sue memorie, Nome in co

dice Ulisse, sono dedicate alla veneranda memoria di Giovannone che perse la furibonda partita per salvare Moro.

ALLA LUCE di questi dati, fa sorridere che, a distanza di quarant’anni dai fatti, i protagonis­ti o i testimoni di allora ancora discettino nell’ormai rituale occasione degli anniversar­i sulla cosiddetta linea della fermezza (i più colti si spingono a citare Creonte e Antigone), continuand­o a ignorare la realtà, ormai accertata, delle trattative che intervenne­ro in quei giorni, il che obblighere­bbe a interrogar­si sulle ragioni politiche del loro presunto fallimento per la parte riguardant­e la vita dell’ostaggio. Speriamo che in occasione del prossimo decennale, costoro possano trovare il tempo di leggere qualche serio libro di inchiesta e dei buoni libri di storia

Il canale “informativ­o” La missiva è del 23 e viene consegnata il 29 aprile. Il colonnello però già il 24 rientra apposta in Italia. Qualcuno da dentro avvertì i Servizi Durante il sequestro il collaborat­ore di Moro Sereno Freato si recò in missione segreta da Tito viaggiando su un aereo messogli a disposizio­ne dall’allora giovane imprendito­re milanese Berlusconi

 ?? LaPresse ?? Democrazia cristiana Sopra, Moro con Flaminio Piccoli e Benigno Zaccagnini al 23° congresso della Dc. A destra, Mariano Rumor
LaPresse Democrazia cristiana Sopra, Moro con Flaminio Piccoli e Benigno Zaccagnini al 23° congresso della Dc. A destra, Mariano Rumor
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ?? LaPresse Ansa ?? I palestines­i a Beirut Alcuni militari dell’Olp durante un addestrame­nto in Libano Via Caetani, 9 maggio ‘78 La Renault 4 rossa con il corpo di Aldo Moro
LaPresse Ansa I palestines­i a Beirut Alcuni militari dell’Olp durante un addestrame­nto in Libano Via Caetani, 9 maggio ‘78 La Renault 4 rossa con il corpo di Aldo Moro

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy