“Il collante dei giallo-verdi è il populismo”
Yascha Mounk Scrittore, insegna ad Harvard: “È una riedizione postmoderna dell’alleanza rossobruna”
“Per capire la natura del populismo, dobbiamo riconoscere che è sia democratico sia illiberale, che cerca cioè di esprimere le frustrazioni della gente, da un lato, e di indebolire le istituzioni liberali, dall’altro”. Yascha Mounk ha 36 anni, è nato a Monaco, è cresciuto (anche) in Italia, insegna Teoria politica ad Harvard. Feltrinelli ha appena pubblicato in italiano il suo ultimo libro Popolo vs Democrazia - dalla cittadinanza alla dittatura elettorale, che tanto ha fatto discutere nell’edizione in inglese. Professor Mounk, quella che si accinge a governare l’Italia è una coalizione populista?
Sì, è una versione postmoderna dell’alleanza rosso- bruna, che qua è giallo-verde: campi ideologici opposti uniti dalla loro natura populista. Il pensiero populista è più importante dell’ideologia. Qual è la sua definizione di populismo?
È l’idea che tutto il sistema politico è corrotto e la politica è semplice, se chi governa lo fa in nome del popolo tutti i problemi si possono risolvere. Se invece perdurano è soltanto perché le élite al potere non si curano del popolo e dunque sono illegittime. Anche Silvio Berlusconi, che avalla la coalizione dall’esterno, è un populista?
È stato il primo dei populisti in Italia, ma più per motivi personali che ideologici: poiché era sempre in pericolo di andare in carcere, attaccava le istituzioni della Repubblica per difendersi. Ma gli attacchi si fermavano lì dove serviva a lui. Infatti le sue politiche erano pro-europee e ambivalenti verso gli immigrati. Ora vediamo un populismo più duro, più istituzionale. E, nel caso della Lega, sulla base di un’ideologia che mette a rischio i diritti delle minoranze, a cominciare dagli immigranti. Quando i populisti arrivano al potere o si normalizzano, come sembrano fare i Cinque Stelle, o rendono la democrazia illiberale, come lei avverte nel suo libro. In Italia quale sarà l’esito?
C’è sempre la speranza che alla fine i populisti diventino più moderati, oppure meno popolari, se non riescono a realizzare tutte le loro promesse. Se si guarda alle esperienze populiste in altre parti del mondo, però, non è andata così: solo una minoranza di governi populisti è stata sconfitta in modo democratico alle urne. Gli altri sono risultati popolari, oppure hanno distrutto da dentro la de- mocrazia, come in Ungheria dove la stampa e la magistratura non sono più libere.
E in Italia?
C’è la possibilità che Cinque Stelle e Lega formino governi moderati, normali, ma è plausibile anche l’esito opposto. Una volta al governo non potranno più scaricare la responsabilità di tutti i problemi sull’élite al potere, perché al potere ci sono loro. E c’è il rischio che la colpa venga dirot- tata sulla stampa, sugli immigrati, sull’Europa...
Il Pd doveva allearsi con il M5S?
In Germania si è discusso molto se i socialdemocratici dovessero entrare nella grande coalizione con la Merkel. Entrare nel governo significa perdere consensi e rafforzare i populisti, non entrarci implica andare alle elezioni e vedere i populisti rafforzarsi.
Il collante tra i vari populismi, in Italia e non solo, sembra essere l’ostilità all’Unione europea. L’esistenza di un governo post-democratico o pre-dittatoriale in Ungheria è un problema sottovalutato, anche in Italia. Come si può chiedere agli italiani o ai tedeschi di condividere sovranità con un proto-dittatore come Viktor Orbàn? La crescita di queste spinte autoritarie in Ungheria o Polonia è un problema esistenziale per l’Unione europea più serio che la Brexit.
Il dilemma del Pd non era facile: andare al governo e perdere consensi o andare alle elezioni e perdere consensi?