Il Fatto Quotidiano

Milano, il bancomat di ’ndrangheta non si spegne mai

Gioco d’azzardo Nonostante una condanna per mafia, le società riferibili alla famiglia del “manager” Lampada sono sempre operative

- » DAVIDE MILOSA Milano

Intercetta­to, raccontava dei suoi affari. Delle slot machine commerciat­e in quantità. Di come, per lui, quelle fossero una specie di bancomat, quando aveva bisogno di denaro contante. Era prima del 2011. Oggi, sette anni dopo, Giulio Giuseppe Lampada sconta 14 anni per associazio­ne mafiosa. Manager in doppio petto a Milano. Braccio finanziari­o, hanno ragionato i pm e confermato i giudici, della ’ndrangheta reggina. Lampada sconta la pena ai domiciliar­i in casa. Incompatib­ile al carcere. Ma questa è un’altra storia. Qui ciò che importa è il gioco d’azzardo, settore economico prediletto dai Lampada. Ieri come oggi. E così dopo le sentenze definitive (che non hanno riguardato tutto il gruppo familiare), il mondo delle slot machine resta un loro interesse. Certo le cose ora sono molto cambiate. Chi doveva pagare sta pagando. E attualment­e non ci sono accuse di mafia.

MA C’È UN DATO oggettivo: sono ancora molte le società che operano nel mondo delle slot machine riferibili al loro ambito familiare. In alcuni casi si tratta di società nuove, in altri, invece, ancora operano srl i cui nomi sono finiti nel fascicolo della procura di Milano. Citate, ma mai sequestrat­e. Una scelta voluta dalla Direzione distrettua­le antimafia di Milano. All’epoca, spiega un magistrato che trattò la vicenda, in Procura si tenne un tavolo proprio su questo. Alla fine prevalse la logica di non mettere i sigilli perché quelle società, considerat­e decotte, sarebbero state un peso per le casse dello Stato. Una posizione criticata da David Gentili presidente della Commission­e antimafia del comune di Milano: “Non condivido la prassi di non sequestrar­e immobili mutuati, bar, tabacchi panetterie e comunque di lasciare ai mafiosi attività imprendito­riali che potrebbero diventare un onere per lo Stato. A parte che l’Amministra­zione Co- munale è ben lieta di assegnare spazi alle associazio­ni, oppure di metterli a reddito, non è possibile che il frutto dell’attività criminale sia lasciato in mano a chi l’ha creato”. E dunque ecco, ad esempio, la Idracity slot srl. La società, citata nell’inchiesta, oggi è ancora atti- va. Da visura camerale aggiornata a pochi giorni fa, risulta socio al 33% lo stesso Giuseppe Lampada, mentre il restante è detenuto dalla madre Antonia Tripodi (mai coinvolta nell’inchiesta). È lei che nel dicembre 2011, poche settimane dopo gli arresti della Procura, acquista le quote da altri due soci. La Idra inoltre ha numero di esercizio preciso per poter operare nel settore delle slot e del gioco d’azzardo.

NATURALMEN­TE nulla, allo stato, di penalmente rilevante. Spiega sempre Gentili: “Siamo in ritardo di 15 anni nella legislazio­ne di contrasto agli interessi mafiosi nel gioco d’azzardo. La risoluzion­e redatte dalla Commission­e Antimafia bicamerale approvata nel 2017 sono rimaste lettera morta”. Ma proseguiam­o. Dopo la Idra, ecco la Game Bank con sede in viale Zara 124. La società ha un amministra­tore unico, mai indagato, ma citato nell’ordinanza dell’epoca come “intestatar­io fittizio” di alcune società dei Lampada. Il 79% delle quote, ancora una volta, è in mano a mamma Tripodi. Anche in questo caso la società non solo è attiva, ma ha un numero di esercizio per poter operare sul mercato. Stesso discorso vale per la Piramide games srl. La società, nonostante sia gravata da decine di protesti, è operante e ha sede in via Rubens, zona di Milano non lontana da via Carlo Dolci 28, indirizzo ritenuto cruciale nell’inchiesta del 2011. Qui, infatti, ai tavolini del bar Dolci, oggi chiuso, si tennero diverse riunioni del clan. Anche La Piramide ha come socia Antonia Tripodi.

E POI C’È LA PEGASUS SRL, altra società già citata nelle indagini, e ancora attiva. La sede si trova al civico 29 di via Melzi d’Eril. Un indirizzo ben noto agli investigat­ori, perché proprio qui avevano e hanno sede molte società del gruppo Lampada. Titolare per circa l’80% è Giuseppa Zema (mai indagata nell’inchiesta del 2011), moglie di Giulio Giuseppe Lampada. Fino al 2009, socio era anche l’ex onorevole del Pdl Francesco Morelli, coinvolto nell’inchiesta del 2011 che, tra l’altro, mise in luce i contatti politici e istituzion­ali del manager della ’ndrangheta. La stessa Zema è esponente unica della Be Player di Zema G, società attiva “nella gestione di apparecchi che consentono vincite in denaro”. Esiste poi una Be Player srl, con oggetto sociale diverso. Si occupa di affittare rami di azienda ed è titolare di un bel bar in zona San Siro, a pochi metri da via Carlo Dolci 28. La società, riferibile sempre alla moglie di Lampada, nasce nel 2016 e nel gennaio scorso passa il ramo d’azienda a un signore nato in Brasile ma residente nel Comune di Bareggio in provincia di Milano. Insomma un bel risiko ancora attuale e lecito.

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