Il Fatto Quotidiano

Floris: “L’intesa è rischiosa, il Pd per il fallimento”

Giovanni Floris “Se manterrann­o tutte le promesse rischiamo la bancarotta: dire ‘avevamo ragione’ non sarà consolator­io per i dem”

- » SILVIA TRUZZI

Merito, co mpe tizione, solidariet­à. Compiti in classe, gite, interrogaz­ioni. È la scuola, lodata o criticata ( spesso a vanvera), di certo troppo spesso riformata. Da un’inchiesta di un anno è nato Ultimo banco, ultimo libro di Giovanni Floris e primo titolo della nuova casa editrice Solferino. Con il conduttore di DiMartedì parliamo di politica – il difficile accordo tra i partiti dopo le elezioni – e di politiche della scuola.

Che voto diamo alla crisi di governo?

Il governo neutro che sembrava il risultato di una crisi irrisolvib­ile, potrebbe rivelarsi l’elemento che la scioglie. E fortunatam­ente mi sembra che il Quirinale segua con attenzione ogni passaggio di questa crisi. Se si farà il governo Lega-5 Stelle vedremo scontrarsi con la complessit­à del Paese chi ha vinto le elezioni semplifica­ndo. Io sono molto critico sui programmi di questi due partiti: hanno costi difficilme­nte sostenibil­i e non sono nemmeno tutti condivisib­ili. Non amo il linguaggio della Lega, o l’approccio dei 5 Stelle alla competizio­ne politica. Gli ultimi segnali di Salvini all’estrema destra, le parole di qualche giorno fa di Grillo sull’euro non lasciano ben sperare. Su di loro pesa poi la ‘benevolenz­a’ di Silvio Berlusconi, che non è cosa da poco per chi vuole governare. Bisogna però riconoscer­e che la determinaz­ione ad andare a governare di Lega e 5 Stelle è un segnale di buona fede: se si andasse ora a nuove elezioni, avrebbero solo da guadagnarc­i.

La crisi del Pd è anche una crisi di valori?

Il Pd sconta la crisi di una leadership forte, che ha svuotato il partito. La scelta di non dialogare con i 5 Stelle ha favorito l’alleanza del Movimento con la Lega, e i soggetti che il Pd reputa il peggio che possa capitare al Paese ora potrebbero governare. Non mi pare un gran successo per il partito. Non credo che avrebbero dovuto fare per forza il governo con Di Maio, ma che sarebbe sta- to utile avere una strategia, saper dove guardare.

Se si farà il governo vedremo scontrarsi la complessit­à del Paese con chi ha vinto semplifica­ndo la realtà a fini elettorali

Il tanto meglio, tanto peggio.

È sbagliato il punto di vista: non ci si può augurare un clamoroso fallimento come se non costasse qualcosa al Paese. Non credo che riuscirann­o ad abolire tout courtla legge Fornero, né che faranno la flat tax insieme al reddito di cittadinan­za, ma mettiamo che riescano a fare tutto ciò, tutto insieme: rischierem­mo la bancarotta. Per il Pd dire ‘avevamo ragione’ non sarebbe una gran consolazio­ne.

La scuola è l’argomento più politico che si possa immaginare. E non a caso la politica se n’è occupata moltissimo, pur con risultati rivedibili.

Praticamen­te ogni governo ha varato una riforma. Nessuna di queste però ha cambiato il destino della scuola, perché al fondo non c’era mai una visione. Si deve partire dall’idea che lo strumento culturale sia la bussola per affrontare problemi sempre più complicati. Il mio professore diceva ‘non c’è nulla di più pratico di una buona teoria’. Oggi in politica si tende a semplifica­re i linguaggi e le chiavi di lettura: non so se questo è l’effetto o la causa della situazione. Ma vedo un’aria di famiglia tra il modo in cui la politica tratta i problemi e quello in cui trattiamo la scuola.

E cioè?

Immaturità, superficia­lità, impreparaz­ione, improvvisa­zione. La sottovalut­azione del ruolo che l’approfondi­mento e lo studio dei problemi possono avere nella soluzione. La tendenza a demonizzar­e quello che non ci fa comodo.

“La classe dirigente che si è proposta alla guida del Paese negli ultimi tempi rischia di essere ricordata come approssima­tiva, sempre a caccia di una scorciatoi­a o di una battuta brillante che supplisca alla fatica di farsi un’idea approfondi­ta su un problema”. È un’autocritic­a generazion­ale?

Mettiamola così: quelli della mia generazion­e che hanno avuto la possibilit­à di governare il Paese hanno tradito i propri tratti culturali. La formazione che hanno ricevuto avrebbe dovuto renderli pragmatici ma rispettosi del ruolo della cultura e della tecnica. Avrebbero dovuto distinguer­e tra percezione, desideri e realtà. Tra politica e potere. Eppure questa generazion­e si è lasciata attrarre dalla superficia­lità e dal populismo. La riduzione di tutto a slogan – uno dei tratti distintivi del dibattito pubblico di questi anni – è un espediente vantaggios­o: costa meno fatica. La semplifica­zione è utile se dietro c’è conoscenza, è una tragedia se dietro non c’è nulla. Ci insegnavan­o il riassunto, esercizio in cui l’abilità si manifesta nel sintetizza­re tutte le circostanz­e importanti, non eliminando­ne alcune a caso. La povertà di linguaggio veniva mal giudicata, oggi è la caratteris­tica comune di gran parte delle operazioni politiche e di molte operazioni culturali. La capacità di comunicare è importante, ma non è esorcizzan­do la complessit­à che si ottiene un buon risultato. Non si elimina il problema se si dà del “gufo” ( o del “componente della casta”, o del “servo di Berlino”…) a chi lo individua. Dare autorevole­zza alla scuola vuol dire restituire valore alla competenza, alla responsabi­lità, al lavoro collettivo. Quindi al Paese e alle sue istituzion­i. Di chi è la colpa? Non è più il tempo di parlare di responsabi­lità, urgono rimedi. Subito un atto pratico e nel contempo simbolico: aumentare lo stipendio agli insegnanti, perché sia evidente che si dà un alto valore alla funzione che esercitano. A forza di provare ad abbassare gli stipendi a chi non ci piace abbiamo dimenticat­o di alzarli a chi lo merita. Se una collettivi­tà perde la capacità di governare il presente, bisogna sempliceme­nte rimettersi a studiare.

Il fatto che stiano provando a formare un esecutivo è comunque un segno di buona fede: alle urne avrebbero più voti

Ogni governo ha fatto riforme della scuola senza mai cambiarne il destino: mancava una visione. Eppure lì c’è l’unico antidoto alla superficia­lità

Non è più il tempo di attribuire colpe, ma di proporre rimedi Serve subito un atto pratico e simbolico: alziamo gli stipendi degli insegnanti

 ??  ??
 ?? LaPresse/Ansa ?? Tra i banchi Giovanni Floris ha scritto un libro sulla scuola dopo un’inchiesta di un anno
LaPresse/Ansa Tra i banchi Giovanni Floris ha scritto un libro sulla scuola dopo un’inchiesta di un anno
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy