La Juventus è brutta, sporca e cattiva Ma sa come si trionfa
In casa della Roma le basta un punto per il suo settimo scudetto consecutivo Nonostante il Var, nulla è cambiato. E anche nel resto d’Europa esistono “dinastie” vincenti
Punto e a capo. Già domani sera, probabilmente. Alla Juventus ne basta uno, uno solo, per aggiudicarsi lo scudetto, che poi sarebbe il settimo consecutivo, come il Lione all’alba di questo millennio, record dei record. E pure alla Roma, già che ci siamo, ne serve uno per celebrare l’accesso aritmetico alla Champions. Siamo agli sgoccioli di un safari massacrante, segnato dal battesimo del Var, la moviola che avrebbe dovuto ridurre i sospetti. Sarà per un’altra volta. Il duello tra Juventus e Napoli ha coinvolto ogni tipo di dietrologia. Aurelio De Laurentiis è passato allegramente dal “Non ci hanno rubato nulla” del 5 maggio al “Ci hanno rubato 8 punti” di giovedì. In attesa delle prove, e magari della Procura federale, il popolo, curioso, frigge per conoscere la versione corretta, anche se gli allibratori non accettano scommesse.
AI TEMPI di Rosella Sensi, era la Roma che accusava l’Inter di favori spudorati. La dittatura della Juventus è nata proprio tra le macerie di Calciopoli, lo scandalo che le costò la Serie B e due Scudetti. Rivoluzione radicale, quattro campionati di assestamento (terza-seconda-settima-settima) e poi, con Andrea Agnelli, il decollo. La Juventus non è forte perché aiutata, ma aiutata perché forte, come succede ovunque e non esclusivamente in un Paese servile come il nostro.
Sette scudetti, quattro Coppe Italia, l’ultima mercoledì dopo aver asfaltato il Milan del fragile Gigio Donnarumma, quattro doppiette Scudetto-Coppa, due finali di Champions perse contro una squadra di marziani (il Barcellona di Leo Messi, Luis Suarez, Neymar) e la squadra di un marziano (il Real di Cristiano Ronaldo), la quasi rimonta del Bernabeu: viene in mente il minimalismo alto di Raymond Carver, “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore”. Ecco: di cosa parliamo quando parliamo di calcio. Di Juventus, naturalmente. Di un ciclo che l’età, la noia e il logorio condannano a corposi restauri.
Tre con Antonio Conte, gli altri con Massimiliano Allegri. Sempre la miglior difesa e,
In campo
e fuori In alto, la Juventus con la Coppa Italia; in basso, il capitano Gigi Buffon nelle due stagioni di Carlos Tevez, persino il miglior attacco. Conte recitava la parte del duro, Allegri si avvicina di più al pirandelliano “uno, nessuno e centomila”: la scintilla del “movimento cinque stelle” con Mario Mandzukic all’ala (gennaio 2017, la chiave tattica del sesto), lo sgabello punitivo di Leonardo Bonucci a Oporto, le panchine di Gonzalo Higuain e Paulo Dybala fino alla trovata di Juan Cuadrado terzino. Se Maurizio Sarri incanta gli esteti, ad Allegri la Juventus piace così: brutta, sporca, cattiva. Al diavolo i dibattiti, gli scricchiolii, le riserve dei tifosi.
IL FATTURATO, il potere, la rosa e gli episodi non si discutono. Occhio, però, a trascurare la visione complessiva con la quale la società ha disarmato i grandi avversari: la Milano cinese che fu di Silvio Berlusconi e Massimo Moratti annaspa a distanze siderali, la Roma ballerina ha perso sei volte in casa e il Napoli dei buoni ma pochi non sa chi detestare di più, se De Laurentiis per i mercati avari o Daniele Orsato per i gialli mancati.
All’estero non è molto diverso. In Germania, il Bayern ha appena riscosso il sesto di fila. In Francia, il Paris Saint- Germain ( o Paris Saint-Qatar, meglio ancora) ha vinto cinque degli ultimi sei. Dal 2005, in Spagna, solo l’Atletico Madrid, e solo nel 2014, ha interrotto il duopolio di Barcellona (9 titoli) e Real (4). L’eccezione è la Premier, capace di produrre l’eresia romantica del Leicester di Claudio Ranieri, campione nel 2016.
La Juventus sta all’Italia come il Real Madrid all’Europa.