Il Fatto Quotidiano

La Juventus è brutta, sporca e cattiva Ma sa come si trionfa

In casa della Roma le basta un punto per il suo settimo scudetto consecutiv­o Nonostante il Var, nulla è cambiato. E anche nel resto d’Europa esistono “dinastie” vincenti

- » ROBERTO BECCANTINI Ansa

Punto e a capo. Già domani sera, probabilme­nte. Alla Juventus ne basta uno, uno solo, per aggiudicar­si lo scudetto, che poi sarebbe il settimo consecutiv­o, come il Lione all’alba di questo millennio, record dei record. E pure alla Roma, già che ci siamo, ne serve uno per celebrare l’accesso aritmetico alla Champions. Siamo agli sgoccioli di un safari massacrant­e, segnato dal battesimo del Var, la moviola che avrebbe dovuto ridurre i sospetti. Sarà per un’altra volta. Il duello tra Juventus e Napoli ha coinvolto ogni tipo di dietrologi­a. Aurelio De Laurentiis è passato allegramen­te dal “Non ci hanno rubato nulla” del 5 maggio al “Ci hanno rubato 8 punti” di giovedì. In attesa delle prove, e magari della Procura federale, il popolo, curioso, frigge per conoscere la versione corretta, anche se gli allibrator­i non accettano scommesse.

AI TEMPI di Rosella Sensi, era la Roma che accusava l’Inter di favori spudorati. La dittatura della Juventus è nata proprio tra le macerie di Calciopoli, lo scandalo che le costò la Serie B e due Scudetti. Rivoluzion­e radicale, quattro campionati di assestamen­to (terza-seconda-settima-settima) e poi, con Andrea Agnelli, il decollo. La Juventus non è forte perché aiutata, ma aiutata perché forte, come succede ovunque e non esclusivam­ente in un Paese servile come il nostro.

Sette scudetti, quattro Coppe Italia, l’ultima mercoledì dopo aver asfaltato il Milan del fragile Gigio Donnarumma, quattro doppiette Scudetto-Coppa, due finali di Champions perse contro una squadra di marziani (il Barcellona di Leo Messi, Luis Suarez, Neymar) e la squadra di un marziano (il Real di Cristiano Ronaldo), la quasi rimonta del Bernabeu: viene in mente il minimalism­o alto di Raymond Carver, “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore”. Ecco: di cosa parliamo quando parliamo di calcio. Di Juventus, naturalmen­te. Di un ciclo che l’età, la noia e il logorio condannano a corposi restauri.

Tre con Antonio Conte, gli altri con Massimilia­no Allegri. Sempre la miglior difesa e,

In campo

e fuori In alto, la Juventus con la Coppa Italia; in basso, il capitano Gigi Buffon nelle due stagioni di Carlos Tevez, persino il miglior attacco. Conte recitava la parte del duro, Allegri si avvicina di più al pirandelli­ano “uno, nessuno e centomila”: la scintilla del “movimento cinque stelle” con Mario Mandzukic all’ala (gennaio 2017, la chiave tattica del sesto), lo sgabello punitivo di Leonardo Bonucci a Oporto, le panchine di Gonzalo Higuain e Paulo Dybala fino alla trovata di Juan Cuadrado terzino. Se Maurizio Sarri incanta gli esteti, ad Allegri la Juventus piace così: brutta, sporca, cattiva. Al diavolo i dibattiti, gli scricchiol­ii, le riserve dei tifosi.

IL FATTURATO, il potere, la rosa e gli episodi non si discutono. Occhio, però, a trascurare la visione complessiv­a con la quale la società ha disarmato i grandi avversari: la Milano cinese che fu di Silvio Berlusconi e Massimo Moratti annaspa a distanze siderali, la Roma ballerina ha perso sei volte in casa e il Napoli dei buoni ma pochi non sa chi detestare di più, se De Laurentiis per i mercati avari o Daniele Orsato per i gialli mancati.

All’estero non è molto diverso. In Germania, il Bayern ha appena riscosso il sesto di fila. In Francia, il Paris Saint- Germain ( o Paris Saint-Qatar, meglio ancora) ha vinto cinque degli ultimi sei. Dal 2005, in Spagna, solo l’Atletico Madrid, e solo nel 2014, ha interrotto il duopolio di Barcellona (9 titoli) e Real (4). L’eccezione è la Premier, capace di produrre l’eresia romantica del Leicester di Claudio Ranieri, campione nel 2016.

La Juventus sta all’Italia come il Real Madrid all’Europa.

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