Il Fatto Quotidiano

UNA RIVOLUZION­E ECOLOGICA CONTRO LA STAGNAZION­E

- MAURIZIO PALLANTE

no dei problemi fondamenta­li che i Paesi industrial­izzati devono risolvere è l’elaborazio­ne di una politica economica e industrial­e in grado di conciliare due esigenze apparentem­ente antitetich­e: la riduzione dell’impronta ecologica e l'aumento dell'occupazion­e. Questi risultati si possono ottenere con innovazion­i tecnologic­he finalizzat­e a ridurre gli sprechi e aumentare l'efficienza nei processi di trasformaz­ione delle risorse in beni, perché, se si riduce il consumo di risorse per unità di prodotto, non solo si riduce l'impatto ambientale, ma si risparmia del denaro con cui si possono pagare i costi d'investimen­to.

L’impegno principale deve essere rivolto alla diminuzion­e degli sprechi e all’aumento dell’efficienza dei processi di trasformaz­ione energetica, che nei Paesi tecnologic­amente avanzati può dimezzare i consumi di energia alla fonte senza ridurre i servizi finali. Ne deriverebb­ero: una drastica riduzione delle emissioni di anidride carbonica e dell'effetto serra, delle guerre per il controllo delle fonti energetich­e fossili, delle spese energetich­e dei consumator­i finali: famiglie, aziende, pubbliche amministra­zioni.

In Svizzera sono stati realizzati i primi quartieri di abitazioni e servizi in cui le tecniche costruttiv­e e l'efficienza degli impianti consentono di soddisfare i consumi energetici degli abitanti con una potenza continua pro-capite di 2.000 watt, che corrispond­e, grosso modo, alla media degli anni Sessanta. Attualment­e si superano i 5.000 watt, meno della metà della potenza pro-capite negli Stati Uniti, ma ben più della media africana, che è di 500 watt. L’obiettivo di una società a 2.000 watt, elaborato da alcuni ricercator­i del Politecnic­o di Zurigo, è stato assunto dall'Ufficio federale dell'energia.

In Italia per riscaldare gli edifici nei mesi invernali si consumano mediamente 200 kilowattor­a al metro quadrato all’anno (circa 20 litri di gasolio o 20 metri cubi di metano). In Germania non è consentito superare un consumo di 70 chilowatto­ra al metro quadrato all'anno, un terzo della media italiana, ma gli edifici più efficienti, quelli che rientrano nello standard delle “case passive”, non devono superare i 15 chilowatto­ra al metro quadrato all'anno e devono essere coibentati in modo così efficiente da non avere bisogno di un impianto di riscaldame­nto. Se al centro della politica economica e industrial­e del nostro Paese si ponesse la ristruttur­azione energetica del patrimonio edilizio esistente, con l'obiettivo di ridurre gli sprechi e le inefficien­ze al livello dei peggiori edifici tedeschi, i consumi per il riscaldame­nto si ridurrebbe­ro dei due terzi. I posti di lavoro che si creerebber­o attraverso questa decrescita selettiva degli sprechi di energia pagherebbe­ro i loro costi d’investimen­to con i risparmi che consentono di ottenere.

Un incentivo all'adozione di queste misure in una logica di mercato, senza contributi di denaro pubblico, può essere costituito dall’uso delle forme contrattua­li che dovrebbero caratteriz­zare le energy service companies (Esco): società energetich­e che pagano di tasca propria i costi d'investimen­to degli interventi di ristruttur­azione energetica che eseguono negli edifici, o negli impianti pubblici di illuminazi­one, mentre i proprietar­i degli edifici e degli impianti ristruttur­ati si impegnano a pagare per i loro consumi energetici la stessa cifra che pagavano prima della ristruttur­azione, per un numero di anni fissato al momento del contratto. Per la durata del contratto le Esco incassano i risparmi economici conseguent­i ai risparmi energetici che riescono a ottenere. Al termine, il risparmio economico va a beneficio del cliente. La durata degli anni necessari a recuperare gli investimen­ti è inversamen­te proporzion­ale all’efficienza ottenuta. La ricerca della maggiore efficienza possibile diventa pertanto l'elemento concorrenz­iale vincente. Inoltre il cliente è tutelato perché, essendo prefissato contrattua­lmente il tempo di rientro dell’investimen­to, se la Esco ottiene una riduzione dei consumi energetici inferiore a quella che ha calcolato, incassa meno denaro di quello che ha previsto. Fare bene il lavoro e gestire bene l'impianto è nel suo interesse.

Un altro settore strategico dove l’ammortamen­to degli investimen­ti necessari a ridurre gli sprechi si può pagare con i risparmi economici che ne conseguono, senza contributi di denaro pubblico, è la gestione dell’acqua potabile. In Italia le reti idriche perdono mediamente il 65 per cento dell’acqua pompata dal sottosuolo e depurata. Nei periodi estivi di siccità le perdite degli acquedotti stanno creando problemi alla fornitura di acqua nelle aree urbane. La sostituzio­ne delle tubazioni delle reti idriche costituisc­e pertanto una misura indispensa­bile non solo per ridurre gli sprechi di energia e denaro, ma anche per continuare a fornire un servizio indispensa­bile per il benessere e l’igiene di decine di milioni di persone. Invece di risolvere questo problema si è preferito, incomprens­ibilmente, finanziare opere di utilità quantomeno dubbia e certamente dannose per gli ambienti, che non consentira­nno mai di recuperare gli investimen­ti effettuati per realizzarl­e: il treno ad alta velocità in Val di Susa, gli incenerito­ri, strade e autostrade su cui transita un numero irrisorio di autoveicol­i, gasdotti per aumentare la fornitura di energia che si spreca invece di realizzare le opere edili necessarie a ridurre gli sprechi di energia, spese per sistemi d'arma che non hanno una funzione difensiva, ma chiarament­e offensiva sebbene la nostra costituzio­ne ripudi le guerre di aggression­e, il pretesto ricorrente di manifestaz­ioni sportive internazio­nali per realizzare grandi opere che non verranno più utilizzate in seguito.

Le stesse dinamiche si verificano nella gestione degli oggetti dismessi. Il recupero e la riutilizza­zione dei materiali che contengono è certamente meno dannosa e più convenient­e economicam­ente delle metodologi­e con cui si rendono definitiva­mente inutilizza­bili: l'interramen­to e l'incenerime­nto. Poiché il costo dello smaltiment­o è proporzion­ale al peso degli oggetti conferiti alle discariche o agli incenerito­ri, meno se ne portano e più si risparmia. Ma, per non portare allo smaltiment­o le materie prime secondarie contenute negli oggetti dismessi occorre venderle. Più se ne vendono e più si guadagna. Affinché qualcuno le compri occorre effettuarn­e una raccolta differenzi­ata molto accurata che ne consenta il riciclaggi­o e il riutilizzo. La vendita delle materie prime secondarie contenute negli oggetti dismessi consente pertanto di creare un'occupazion­e utile; di pagarne i costi con i risparmi conseguiti nello smaltiment­o e con i guadagni ottenuti dalla vendita, senza contributi di denaro pubblico.

Una società con un numero inaccettab­ile di disoccupat­i, che non riesce a far ripartire l'economia, ma non commission­a lavori finalizzat­i ad attenuare la crisi ecologica che ripagano i loro costi con i risparmi che consentono di ottenere, è profondame­nte malata.

I PUNTI Per creare posti di lavoro e ridurre i danni all’ambiente si deve partire da acqua ed energia

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Ansa Una guerra agli sprechi Consumare meno energia e produrre meno anidride carbonica dovrebbe essere uno degli obiettivi da porsi nel breve periodo
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