Il Fatto Quotidiano

La casa di carta, rabbioso realismo di un Paese vitale

- » LUCA RAIMONDO

Scrive la Treccani: “Glocal, di atteggiame­nto, politica, visione, che si concentra contempora­neamente sulla dimensione globale e su quella locale”. È l’aggettivo che viene in mente pensando a La casa di carta, la serie spagnola cresciuta fino a diventare quella non in lingua inglese più vista della storia di Netflix, dove sono visibili le prime due stagioni (la terza arriverà nel 2019). Glocal perché unisce la qualità delle migliori serie americane, alla specificit­à dell’ambientazi­one spagnola. Vale la pena fare una riflession­e sulla vocazione cosmopolit­a di Netflix: per la prima volta gli spettatori di mezzo mondo possono vedere prodotti di qualità da paesi e culture diverse. Grandi co-produzioni internazio­nali come Narcos, ma anche la tedesca Da r k, la danese Th e Rain, la francese Marseille, fino alla brasiliana O Mecanismo e le israeliane Fauda e Hostages. E il futuro prossimo prevede l’apertura a Medio Oriente e Africa.

GLOCAL perché La casa di carta, anche se deve molto a mille altri heist movie, i film sulle rapine, classico genere hollywoodi­ano, non potrebbe essere nata se non nella Spagna di questi anni, quelli della crisi economica e politica che ha portato alla nascita di movimenti come Podemos. Evitando spoiler, la sinossi è presto detta: un gruppo di rapinatori, guidato da un criminale sui generis che si fa chiamare ‘Pro- fessore’, mette in atto un’ambiziosis­sima rapina alla Zecca di Stato. L’obiettivo non è rubare il denaro depositato nei caveau, ma stampare ex-novo una gigantesca quantità di banconote perché, secondo il ‘Professore’, quando lo fecero le banche centrali per salvare gli istituti in crisi nessuno diede loro dei “ladri”, ma la chiamarono “iniezione di liquidità”. Proprio perché figlia dell’ondata di sdegno seguita alla crisi dei subprime che colpì duramente la Spagna, La casa di carta può apparire ideologica­mente un po’ ingenua, ma è un difetto ampiamente superato dal ritmo adrenalini­co, dalla sceneggiat­ura pensata come una partita a scacchi, una corsa sulle montagne russe tra il perfetto meccanismo ideato dal ‘Professore’ che anticipa ogni possibile intervento degli investigat­ori e le variabili date dalle relazioni personali che sconvolgon­o ogni pre- visione: gli amori, gli odi, le relazioni incrociate tra rapinatori e ostaggi e tra gli stessi criminali e la polizia.

E SE L’USO delle maschere rimanda a Point Break (anche se il Salvador Dalì scelto per celare i volti ricorda anche la maschera di Guy Fawkes di V per Vendetta), i nomi di città assegnati ai rapinatori per sapere il meno possibile l’uno dell’altro è un omaggio alle Iene di Tarantino, e tante piccole altre tracce di cinefilia lasciate qua e là dal creatore della serie Alex Pina, sono evidenti tributi ai classici americani del genere, il maggior fascino de La casa di cartasta nel sapiente dosaggio di commedia e dramma, di eccesso e rigore, del passaggio da uno stile quasi fumettisti­co ad un rabbioso realismo. Sfaccettat­ure che rispecchia­no le contraddiz­ioni di un paese vitale, passionale e furioso.

Nel secondo grado bis del processo Ruby bis, il bis bisognava chiederlo all'avvocato di Nicole Minetti. Se è assodato che esistono strategie difensive capaci di far impallidir­e la fantasia più fervida di uno scrittore, l'avvocato Pasquale Pantano è riuscito a meritarsi un posto sul podio per il surplus creativo. Il legale della Minetti, accusata di favoreggia­mento della prostituzi­one, ha paragonato l'ex igienista radicale a Marco Cappato: come lui con dj Fabo, l'allora consiglier­a lombarda ha sempliceme­nte agevolato le signorine che frequentav­ano le 'cene eleganti' di Arcore ad esercitare la loro libertà nell'autodeterm­inarsi, che nello specifico consisteva 'nell'esercizio libero della prostituzi­one'. Insomma, eros o tanathos, sempre di libertà si tratta.

COSÌ LIBERO CHE NON SONO PIÙ PADRONE DI ME STESSO

Guido Crosetto (FdI) ha criticato l'ipotesi di un governo neutrale che conduca il Paese fino alle elezioni: “L’unico modo per avere un governo neutrale veramente sarebbe quello di incaricare uno svizzero e nominare ministri norvegesi e scandinavi....”. Forse gli influssi normanni nel patrimonio genetico di Mattarella potevano salvarci.

GIÙ AL NORD NO SILVIO, NO CRY

Forza Italia ha maturato l'idea dell'astensione critica per far partire un governo M5S-Lega, non sostenuto ma guardato con benevolenz­a da FI. Uno dei più significat­ivi lasciapass­are arriva da Paolo Romani, la cui mancata elezione a presidente del Senato ha segnato il primo punto d'incontro dei due neo alleati: "Forse vale la pena che si sperimenti un governo giallo-verde". Poi si aggiungono due triangoli neri e si vola con l'esecutivo Bob Marley.

OPPOSIZION­E TOSTA-TA NEURONI SENZA SPECCHIO

Alessia Morani (Pd), dopo aver sostenuto che il desiderio manifestat­o dagli italiani attraverso le urne fosse palesement­e quello di mettere i democratic­i all'opposizion­e e di tentare un governo Lega-M5S, commenta così il suddetto: “Quando qualcuno pur di arrivare al potere è disposto a qualunque cosa c’è da avere i brividi. Disponibil­i a governare con chiunque #Lega #ForzaItali­a

“Ora, offrire le grandi riforme costituzio­nali a chi chiede più reddito e più sicurezza è un errore ma- dornale se non proprio una follia. Come offrire all'assetato su un'isola deserta invece che un bicchiere d'acqua un'altra escursione di 20 km sotto il sole del Mezzodì”. A parlare non sono Di Maio o Salvini: la constatazi­one di assoluto senso logico appartiene ad Elisabetta Gualmini, vicepresid­ente dem della Regione Emilia Romagna. Nonostante nel Pd sia sempre più comune la sindrome dei neuroni specchio del pensiero, c'è ancora chi riesce ad ascoltare una proposta dell'ex ora e sempre segretario senza cominciare a ripeterla immediatam­ente a mo di mantra.

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Coordinato­re Fratelli d’Italia Guido Crosetto
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Renziana Alessia Morani

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