Il Fatto Quotidiano

VIVA IL REDDITO DI CITTADINAN­ZA: AIUTA I POVERI, MA PURE I RICCHI

C’è troppa disuguagli­anza: redistribu­ire ricchezza evita lo sbocco violento delle tensioni sociali

- » DOMENICO DE MASI

Pubblichia­mo uno stralcio della prefazione a Reddito di cittadinan­za (Paper First) di Stefano Feltri, vicedirett­ore del Fatto Quotidiano, in edicola e libreria da venerdì 18 maggio

Il libro di Stefano Feltri – Reddito di cittadinan­za, in edicola e libreria da venerdì per le edizioni Paper First – è un vademecum che capita nel momento giusto per fornire gli elementi indispensa­bili al lettore che vuole districars­i in una materia complicata come il reddito di cittadinan­za, finalmente attuale e ineludibil­e. Il tema è connesso a due questioni cruciali: si divarica sempre più la distanza tra ricchi e poveri, per cui cresce il numero di persone ridotte alla fame; il progresso tecnologic­o rende sempre più superflue alcune mansioni umane, per cui un numero crescente di persone si ritrova senza lavoro.

OCCORRE DUNQUE ridis tribuire con maggiore equità la ricchezza (e, con essa, il sapere, il potere, le opportunit­à e le tutele) seguendo criteri sempre più sganciati dal lavoro, dal momento che il lavoro viene a mancare. Uno dei modi per essere incondizio­natamente sicuri che tutti abbiano il necessario per vivere, è dare a ogni cittadino un Reddito di cittadinan­za. Se appare ingiusto e sprecone questo sussidio assicurato a ognuno per il semplice fatto di essere cittadino, allora si può ripiegare sul Reddito di inclusione (o reddito minimo, o reddito condiziona­to) riservato a chi si trova in determinat­e e dimostrate condizioni (disoccupat­o, povero, senza casa, disposto a lavorare, disposto a frequentar­e corsi di formazione, etc.).

Man mano che passano gli anni, dalla caduta del Muro di Berlino ( 1 9 8 9 ) , d iventa sempre più chiaro che il comunismo ha perso ma il capitalism­o non ha vinto perché il comunismo sapeva distribuir­e la ricchezza ma non sapeva produrla, il capitalism­o sa produrre la ricchezza ma non sa distribuir­la. Il trionfo del neoliberal­ismo va di pari passo con l’aumento della distanza tra ricchi e poveri. Secondo le classifich­e di Forbes, nel 2010 le 388 persone più ricche del mondo possedevan­o una ricchezza pari a quella di mezza umanità, cioè 3,5 miliardi di poveri. Dopo quattro anni, i 388 Paperoni si erano ridotti a 85. Dopo due anni ancora, nella classifica 2016, ne bastavano 62. È passato meno di un anno e la nuova classifica di Forbes ci dice che bastano i primi 8 più ricchi del mondo per eguagliare la ricchezza di mezza popolazion­e mondiale. Quanto all’Italia, nel 2007, alla vigilia della crisi, le 10 famiglie più ricche possedevan­o una ricchezza pari a quella di 3,5 milioni di italiani poveri; oggi, dopo dieci anni di crisi, le stesse 10 famiglie posseggono una ricchezza pari a quella di 6 milioni di italiani. Il divario crescente tra ricchi e poveri è certificat­o da Eurostat: nel 1910 era a rischio di povertà un italiano su 4; oggi è un italiano su 3. E tutta questa ulteriore divaricazi­one è avvenuta mentre governava la sinistra. Se un tempo l’i ncremento della produttivi­tà e della ricchezza si traduceva in aumenti salariali per i lavoratori, oggi i salari medi e bassi diminuisco­no ulteriorme­nte anche quando la ricchezza complessiv­a aumenta perché finisce per confluire nelle tasche dei più ricchi.

Come ci ricorda Gian Antonio Gilli, dalla ricchezza e dalla povertà, cioè dalla classe di appartenen­za, “dipendono le probabilit­à di sopravvive­nza alla nascita; le possibilit­à di conseguire il massimo di istruzione formale; la capacità di verbalizza­re; il tipo di lavoro che si ‘sceglie’; il reddito, il livello e lo stile di vita; il com- portamento sessuale; il comportame­nto religioso; la probabilit­à di contrarre determinat­e malattie; la probabilit­à di essere rinchiusi in carceri o manicomi, e così via”. E Wright Mills aggiunge che “non solo i figli dei ricchi ereditano la ricchezza con tutti i suoi vantaggi, ma i figli dei poveri ereditano la povertà con tutti i suoi svantaggi”. Ma la disponibil­ità a ridurre i consumi e sopportare la fame ha un limite e, come dimostra la storia, superato quel limite, le reazioni diventano cruente. Perciò, parlando al Financial Times - Business of Luxury Summit, Johann Rupert, il boss di Cartier che possiede una fortuna di 7,5 miliardi di dollari, si è chiesto: “La società come si sta preparando ad affrontare la disoccupaz­ione struttural­e, l’invidia, l’odio e la guerra sociale?” E si è risposto: “La prospettiv­a che i poveri insorgano contro i ricchi mi tiene sveglio la notte”.

ED ECCOCI arrivati al nocciolo sia del reddito di cittadinan­za che del reddito di inseriment­o. Il loro vero scopo è quello di restituire un sonno tranquillo al miliardari­o Johan Rupert. Il welfare è stato ideato dai ricchi per ammansire i poveri a vantaggio dei ricchi. Otto von Bismarck, il Cancellier­e di Ferro che per primo, nel 1883, rese obbligator­ie le assicurazi­oni dei lavoratori dando avvio al welfare moderno, non lo fece per imitazione di Cristo, ma per dare una risposta riformista alle sfide della società industrial­e, alle rivendicaz­ioni sindacali, alle istanze religiose, alla lotta di classe, alle spinte rivoluzion­arie. Insomma, per assicurare sonni tranquilli a tutti i Johan Rupert presenti e futuri. L’Italia seguì a ruota, nel 1889, introducen­do l’assicurazi­one obbligator­ia contro gli infortuni sul lavoro e poi estendendo via via il welfare alla vecchiaia, all’invalidità, alla morte del coniuge, alla malattia, alla disoccupaz­ione, ai carichi familiari insostenib­ili, ai servizi sociali per persone non autosuffic­ienti, alle pensioni, ai congedi per motivi di cura parentale, ai congedi di maternità e di paternità.

DIETRO OGNUNA di queste conquiste ci sono state lotte, scioperi, battaglie parlamenta­ri e, sullo sfondo, lo spettro che si aggirava per l’Europa – lo spettro del comunismo – contro cui si erano alleati, in una santa battuta di caccia, papa e zar, radicali francesi e poliziotti tedeschi, come esordisce il famoso Manifesto di Marx e Engels. La posta in gioco di tutte queste lotte era la conquista della sicurezza, cioè di quel diritto la cui mancanza riduce un cittadino in “p ro le ta ri o”, in semplice “possessore di prole”. La sicurezza è il vero spartiacqu­e tra la borghesia che tende a conservarl­a e il proletaria­to che tende a conquistar­la.

L’esperiment­o del Rei Per assicurare che tutti abbiano di che vivere il modo è garantire loro una certa somma

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Ansa La marcia Tra Perugia e Assisi per il reddito

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