Il Fatto Quotidiano

Il senso di Hamas per il confine col filo spinato

Tattiche studiate e modificate in otto settimane per sfondare la barriera

- » VALERIO CATTANO

Sassi contro carabine non è mai uno scontro equo. Ma pensare che i cortei di protesta in occasione delle “Marce del ritorno” sponsorizz­ate da Hamas – organizzaz­ione che Unione europea, Stati Uniti, Canada, Egitto, Giappone e, manco a dirlo, Israele consideran­o terrorista, al contrario di altre nazioni come Iran, Qatar, Russia, Cina, Norvegia – siano state mere manifestaz­ioni di rabbia spontanea, sarebbe un errore.

UNA DELLE TESI è che i dirigenti di Hamas abbiano pianificat­o nel dettaglio la rivolta, modificand­o le attività di avviciname­nto al confine con Israele ogni venerdì per portarle al culmine nello scontro del 14 maggio, quello più sanguinoso. A evidenziar­e questo particolar­e è stato il Jerusalem Post che ha sfruttato pro- prie fonti sul campo. I leader palestines­i sapevano che Israele avrebbe reagito sparando? Di certo erano stati avvisati, ma una risposta affermativ­a significhe­rebbe che in nome della lotta politica Hamas ha mandato al massacro degli inermi, e su questo non vi possono essere certezze.

I fatti però evidenzian­o un crescendo nelle manovre per sfondare la barriera, eventualit­à che Tel Aviv vive come un incubo. Le otto settimane in cui ogni venerdì si è svolta una “Marcia del ritorno” mostrano una sequenza: il 6 aprile i manifestan­ti iniziano a incendiare copertoni per coprire il confine di fumo nero; poi è stata la volta degli aquiloni – alcuni con le svastiche – per incendiare i campi israeliani; il 27 aprile viene abbattuta una porzione di recinzione del confine. Hamas non lascia nulla al caso: i protagonis­ti delle proteste vengono porta- ti al confine con i bus dell'organizzaz­ione; a centinaia di metri dalla barriera del confine si montano le tende sanita- rie per curare i feriti, e gli spazi per le famiglie e le aree di preghiera. Ci sono persone addette alla vendita di cibo, e chi si unisce alla protesta mangia prima di diventare shahid, ovvero un “martire al fronte”.

In queste aree, prima che inizino gli scontri con l'esercito israeliano si presentano al mattino i leader di Hamas che tengono discorsi incitando alla rivolta.

C'È POIla fase vera e propria dell'assalto alla barriera: un compito affidato ai più giovani che utilizzano tronchesi per rompere il filo spinato. A separare i palestines­i di Gaza dal confine c'è una zona-cuscinetto: Hamas manda i ragazzi in quel settore sebbene Israele già da marzo aveva avvisato che chiunque si sarebbe avvicinato alla zona sarebbe stato colpito. I leader del mo- vimento coordinano queste azioni da posizioni privilegia­te o con rapidi spostament­i in moto: non appena si intravede un punto debole, i capi di Hamas spediscono le squadre che si buttano sul filo spinato come soldati nella prima guerra mondiale per sfondare le linee nemiche. Perchè questo è l'obiettivo dichiarato, come ha raccontato Joe Dyke, il corrispond­ente dell'Afp a Gaza in un articolo uscito giovedì scorso: “I dirigenti di Hamas nel briefing con i media stranieri dicono che martedì migliaia di palestines­i sfonderann­o il muro di confine”. È finita come il mondo ha visto.

Pianificaz­ione Spazi per le preghiere, tende sanitarie e il pasto di chi vuole diventare shahid: martire al fronte

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Ansa Organizzat­i Palestines­i negli scontri al confine con Israele

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