Calcio Rendere gli stadi perfettini cambierebbe la loro funzione sociale
Caro Travaglio, tempo fa scrissi per dirti che non notavo una netta presa di posizione sulla questione israelo-palestinese da parte del Fatto . Tu mi rispondesti che ero un lettore distratto e che erano state scritte intere paginate sul nostro giornale. Era vero per quanto riguarda le paginate e avevo ragione io per la mancata presa di posizione. Che però è avvenuta sabato da parte tua con il titolo “Così il piccolo Davide si salvò dal Golia arabo e fu Israele (e la Nakba)”. Un gran bell’articolo nella forma.
Potremmo disquisire molto a lungo sull’argomento ma per ovvia praticità ti chiedo solo due cose molto elementari: perché gli ebrei sono invisi non solo al mondo arabo ma anche a una metà del globo? Che ne diresti se dopo 2000 anni qualcuno venisse a casa tua a reclamare i suoi diritti di abitabilità e prendesse a calci la tua progenie per confinarli in uno scantinato? Caro Giuseppe, se io la casa l’avessi comprata per ritornare sotto il tetto espropriato ai miei avi, e se fossi reduce da un lager nazista o da un pogrom russo, credo che avrei qualche ragione anch’io.
Un caro saluto. CARO MASSIMO FINI, sono d’accordo col suo editoriale dedicato al calcio moderno e vorrei aggiungere una mia considerazione. Il calcio internazionale (e italiano) è radicalmente mutato, per certi versi certamente in peggio, come fa egregiamente notare. Ma credo che il nostro Paese soffra nel medesimo tempo anche l’arretratezza delle sue strutture, delle pessime condizioni di grandissima parte degli stadi delle serie maggiori e il confronto col resto d’Europa è a dir poco tragico, considerando il calcio “sport nazionale.” Personalmente amo seguire il calcio internazionale e questo mi dà la misura dell’abissale differenza che ci separa, ad esempio, dall’Europa. Spagna, Gran Bretagna, Germania e non ne cito altre per pudore e patria carità, sono nazioni dove il calcio gode di stadi confortevoli e con posti a sedere totalmente numerati come Spagna e Gran Bretagna. Noi cosa offriamo? Strutture da terzo o quarto mondo, gradinate di cemento gaiamente multicolori e nella serie cadetta non è raro vedere il buon vecchio filo spinato o dabbenaggini simili. Incontri di calcio con contorno di bombe carta senza che i cronisti di turno, presi dagli schemi e dal gioco maschio, sbattano almeno un sopracciglio se non col senno di poi, piagnucolare nel salotto vip. Tempo fa, in quel di Leeds, dove vive mio figlio, ho assistito, nel mitico Elland Road, a una partita della nobile decaduta: 30 mila persone per un incontro di B inglese, le assicuro che non può permettersi neanche di buttare una cicca per terra, pena l’amabile accompagnamento all’uscita, o peggio. Questo credo sia il problema supplementare che accompagna e mortifica il nostro calcio. GENTILE COLOMBERA, lei è d’accordo con me, ma io non sono d’accordo con lei. Non amo gli stadi tutti perfettini che poi, almeno in Italia, rafforzerebbero l’opinione che del calcio ha l’insopportabile Mario Sconcerti per cui lo stadio deve essere una sorta di “bomboniera” e quindi un posto per tifosi ricchi. Cosa che limiterebbe ancor di più quella funzione sociale, interclassista, che questo sport ha avuto. Amo nel calcio, come nella vita, un po’di sgangheratezza. I posti a sedere tutti a modino toglierebbero quel furore che fa parte di una delle tante metafore che il calcio rappresenta: la guerra. Ho assistito a Belgrado a una partita Stella Rossa-Partizan. Sugli spalti, e peraltro anche sul campo, non era semplicemente una partita di calcio ma, appunto, una guerra fra tutti i tifosi dello stadio qualsiasi posto occupassero. Esaltante. Vabbè, quelli son serbi. In altre culture, per esempio in Scozia, si possono vedere partite giocate con furore senza che sul campo e sugli spalti scorra il sangue come a Belgrado. Ma, più in generale, il calcio è passione, è amore, e la passione e l’amore non sono fatti per la perfezione. Il mitico Tommaso Giglio, che ho avuto la fortuna di avere come direttore all’Europeo, ebbe ottimi inizi da poeta (nel 1948 entrò nella rosa finale del Premio Saint Vincent, mettendosi dietro gente come Pasolini). Mi ricordo l’inizio di una di queste poesie: “Il nostro amore imperfetto”. Sì, era imperfetto, ma proprio per questo era amore.