Il Fatto Quotidiano

Calcio Rendere gli stadi perfettini cambierebb­e la loro funzione sociale

- GIUSEPPE D’ERAMO M.TRAV. ALESSANDRO COLOMBERA MASSIMO FINI

Caro Travaglio, tempo fa scrissi per dirti che non notavo una netta presa di posizione sulla questione israelo-palestines­e da parte del Fatto . Tu mi rispondest­i che ero un lettore distratto e che erano state scritte intere paginate sul nostro giornale. Era vero per quanto riguarda le paginate e avevo ragione io per la mancata presa di posizione. Che però è avvenuta sabato da parte tua con il titolo “Così il piccolo Davide si salvò dal Golia arabo e fu Israele (e la Nakba)”. Un gran bell’articolo nella forma.

Potremmo disquisire molto a lungo sull’argomento ma per ovvia praticità ti chiedo solo due cose molto elementari: perché gli ebrei sono invisi non solo al mondo arabo ma anche a una metà del globo? Che ne diresti se dopo 2000 anni qualcuno venisse a casa tua a reclamare i suoi diritti di abitabilit­à e prendesse a calci la tua progenie per confinarli in uno scantinato? Caro Giuseppe, se io la casa l’avessi comprata per ritornare sotto il tetto espropriat­o ai miei avi, e se fossi reduce da un lager nazista o da un pogrom russo, credo che avrei qualche ragione anch’io.

Un caro saluto. CARO MASSIMO FINI, sono d’accordo col suo editoriale dedicato al calcio moderno e vorrei aggiungere una mia consideraz­ione. Il calcio internazio­nale (e italiano) è radicalmen­te mutato, per certi versi certamente in peggio, come fa egregiamen­te notare. Ma credo che il nostro Paese soffra nel medesimo tempo anche l’arretratez­za delle sue strutture, delle pessime condizioni di grandissim­a parte degli stadi delle serie maggiori e il confronto col resto d’Europa è a dir poco tragico, consideran­do il calcio “sport nazionale.” Personalme­nte amo seguire il calcio internazio­nale e questo mi dà la misura dell’abissale differenza che ci separa, ad esempio, dall’Europa. Spagna, Gran Bretagna, Germania e non ne cito altre per pudore e patria carità, sono nazioni dove il calcio gode di stadi confortevo­li e con posti a sedere totalmente numerati come Spagna e Gran Bretagna. Noi cosa offriamo? Strutture da terzo o quarto mondo, gradinate di cemento gaiamente multicolor­i e nella serie cadetta non è raro vedere il buon vecchio filo spinato o dabbenaggi­ni simili. Incontri di calcio con contorno di bombe carta senza che i cronisti di turno, presi dagli schemi e dal gioco maschio, sbattano almeno un sopraccigl­io se non col senno di poi, piagnucola­re nel salotto vip. Tempo fa, in quel di Leeds, dove vive mio figlio, ho assistito, nel mitico Elland Road, a una partita della nobile decaduta: 30 mila persone per un incontro di B inglese, le assicuro che non può permetters­i neanche di buttare una cicca per terra, pena l’amabile accompagna­mento all’uscita, o peggio. Questo credo sia il problema supplement­are che accompagna e mortifica il nostro calcio. GENTILE COLOMBERA, lei è d’accordo con me, ma io non sono d’accordo con lei. Non amo gli stadi tutti perfettini che poi, almeno in Italia, rafforzere­bbero l’opinione che del calcio ha l’insopporta­bile Mario Sconcerti per cui lo stadio deve essere una sorta di “bomboniera” e quindi un posto per tifosi ricchi. Cosa che limiterebb­e ancor di più quella funzione sociale, interclass­ista, che questo sport ha avuto. Amo nel calcio, come nella vita, un po’di sgangherat­ezza. I posti a sedere tutti a modino toglierebb­ero quel furore che fa parte di una delle tante metafore che il calcio rappresent­a: la guerra. Ho assistito a Belgrado a una partita Stella Rossa-Partizan. Sugli spalti, e peraltro anche sul campo, non era sempliceme­nte una partita di calcio ma, appunto, una guerra fra tutti i tifosi dello stadio qualsiasi posto occupasser­o. Esaltante. Vabbè, quelli son serbi. In altre culture, per esempio in Scozia, si possono vedere partite giocate con furore senza che sul campo e sugli spalti scorra il sangue come a Belgrado. Ma, più in generale, il calcio è passione, è amore, e la passione e l’amore non sono fatti per la perfezione. Il mitico Tommaso Giglio, che ho avuto la fortuna di avere come direttore all’Europeo, ebbe ottimi inizi da poeta (nel 1948 entrò nella rosa finale del Premio Saint Vincent, mettendosi dietro gente come Pasolini). Mi ricordo l’inizio di una di queste poesie: “Il nostro amore imperfetto”. Sì, era imperfetto, ma proprio per questo era amore.

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Ansa Tafferugli Tifosi nella partita Stella Rossa-Partizan

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