La Confindustria agli ordini della banda (all’insaputa di Boccia)
orse la Confindustria è già morta e non lo sa. Arrestano per associazione a delinquere un pezzo da novanta come Antonello Montante e il capo della sicurezza Diego Di Simone. E il presidente Vincenzo Boccia dice: “È un fulmine a ciel sereno”. Essendo Montante indagato da tre anni, ci voleva tanto a vedere le nubi all’o r i z zo n t e ? Non sappiamo se i vertici dell’un tempo prestigiosa associazione degli industriali ci sono o ci fanno. In attesa che ce lo dicano i magistrati, toccherà agli imprenditori associati dire qualcosa all’assemblea annuale del 23 maggio, tra una settimana. È vero che, dopo la Fiat, se n’è andata anche Luxottica. È vero che il problema del Sole 24 Oresull’orlo del crac (e con gli ex vertici indagati per falso in bilancio) è ancora lontano da una soluzione. Ma il caso Montante sovrasta tutto.
Mettiamo in fila i fatti. Montante diventa celebre dieci anni fa come eroe antimafia insieme al sodale Ivan Lo Bello. Il primo è presidente degli industriali di Caltanissetta, il secondo di tutta la Sicilia. Si muovono sull’onda degli attentati mafiosi al collega Andrea Vecchio, che poi ha preso le distanze: “L’antimafia si fa col comportamento mentre tante persone ne hanno fatto uno scopo di carriera. Ivan Lo Bello è il presidente nazionale di Unioncamere, come è arrivato a quell’incarico?”.
NEL 2008 EMMA Marcegaglia viene eletta presidente di Confindustria e fa sua la parola d’ordine “fuori gli imprenditori che pagano il pizzo”.
Da dieci anni non risponde a questa domanda: perché espellere chi paga il pizzo alla mafia, magari per paura, e non chi, come suo fratello Antonio, ha pagato tangenti per avere appalti dall’Eni di cui oggi la signora è presidente? Da dieci anni l’equivoco va avanti. Montante, legatissimo alla Marcegaglia, diviene il suo delegato alla legalità e ai rapporti con le forze di polizia. Squinzi lo confermerà. Otto anni di strapotere. Quando muore Steno Marcegaglia, padre della presidente, Montante fa una dichiarazione commossa: “Ri- cordo ancora quando mi disse: ‘La strada dell’etica è quella giusta per dare alle imprese siciliane l’immagine che meritano’. Ed è su quella strada che continuiamo a camminare”.
Cammina cammina, Montante fa assumere all’amica presidente Diego Di Simone come capo della sicurezza di Confindustria. Di fatto risponde a lui. Il 18 luglio 2016 gli ordina di fargli un lavoro che i magistrati non giudicano positivamente: “Lei prende due giorni di tempo e dica a tutti che è con me... lo dico io al Presidente (Boccia, ndr), lo dico alla Panucci (direttore generale, legatissima anche lei a Montante che annota di averla proposta al presidente Giorgio Squinzi, ndr), lo dico fino a Gesù Cristo”. Di Simone è devoto. Faceva il poliziotto a Palermo, Montante ne ha fatto un alto dirigente di Confindustria. A marzo 2016, quando Boccia viene scelto come presidente, telefona all’amico Salvatore Calì, fornitore della Confindustria (indagato): “Boccia è bellissimo”. Calì: “Quindi rimaniamo tutti, giusto?”. Di Simone: “Infatti”. Calì: “Ok ufficio tecnico, facciamo ufficio tecnico”. Chissà se Boccia finge di non sapere che cos’è l’ufficio tecnico o proprio non lo sa.
Linda Vancheri, funzionaria della Confindustria di Cal- tanissetta, legatissima a Montante, viene da lui comandata a fare l’assessore nella giunta regionale di Rosario Crocetta. Quando si dimette, scrivono i pm, “si evince come il Montante si fosse personalmente attivato con l’allora presidente Squinzi e con Marcella Panucci” per farla assumere in Confindustria, “f ace ndo le persino avere un bonus extra per le spese sanitarie”. Poi le ordinadi ringraziare Squinzi perché “è una cosa che stiamo facendo in punta di piedi per evitare casini”.
MONTANTE HA strane idee, note a molti in Confindustria ma non a Boccia. Il suo grande accusatore è un collega della Confindustria di Caltanissetta ed ex sodale, Marco Venturi. Racconta ai magistrati che Montante teorizzava che una bella verifica della Guardia di Finanza è come un “condono tombale”. Vengono, non trovano niente e sei a posto. Amichevolmente, “gli aveva fatto presente che la sua azienda, differentemente da quelle di altri, non aveva mai subito controlli, sicché avrebbe fatto in modo di fargli eseguire una visita ispettiva”. Infatti arriva il maggiore della Guardia di Finanza Ettore Orfanello (arrestato lunedì con Montante), che non trova nessuna irrego- larità nell’azienda di Venturi. Scrivono i pm: “Il Montante gli fece presente che avrebbe dovuto erogare la somma di 2.500 euro all’ufficiale della Guardia di Finanza, ma egli si rifiutò, anche perché non era stata riscontrata alcuna anomalia in relazione alla sua azienda, così provocando il forte disappunto del suo interlocutore”. Il pizzo alla mafia no e alla Guardia di Finanza sì.
Venturi alla fine sbotta. Dà un’intervista ad Attilio Bolzoni di Repubblicail 17 settembre 2015, quando Montante è già notoriamente indagato per mafia da sei mesi. Titolo: “La svolta antimafia di Confindustria è solo un inganno”. Svolgimento: “Montante ha intrecciato trame, commistioni con apparati polizieschi di ogni livello. Per colpa sua Confindustria Sicilia è diventata un centro di potere a Palermo e a Roma, un giro stretto, lui e pochi devoti. Il codice etico non lo si può far valere per gli altri e ignorarlo al nostro interno. Confindustria nazionale è stata zitta per molti mesi: ora mi aspetto che il presidente Squinzi intervenga”. Squinzi interviene. Convoca la presidenza (di cui fa parte Boccia) e deferisce ai probiviri Venturi. Poi tre anni di silenzio. Infine il fulmine a ciel sereno
Due pesi e due misure
”Fuori dall’associazione chi paga il pizzo”, ma per i pm “Montante fece presente che avrebbe dovuto dare 2.500 euro al finanziere”