Gaber, la libertà e la violenza dolce del “non ci sono alternative”
In quel disperato apologo sulla libertà all’americana che è Si può(“niente ti sgretola così bene dal di dentro”), Giorgio Gaber butta lì uno dei suoi geniali paradossi: “Ma con tutta la libertà che avete, volete pure la libertà di cambiare?”. La vicenda del prossimo governo è tutta qui: è possibile cambiare? Questa, pur essendo l’unica che conta, è l’unica domanda che non si può fare: nei media pare non esistere il vivace (eufemismo) dibattito scientifico sull’austerità, né il fatto che i risultati dicano che le ricette imposte a vari Pae- si Ue sono sbagliate o truffaldine (se servono a ridurre i debiti pubblici perché li hanno fatti aumentare ovunque?). Invocare l’abolizione o la profonda modifica del Fiscal Compact non è una posizione della Lega: lo era pure del Pd. Quel che è riprovevole, insomma, non sono le minacce in arrivo da Bruxelles (Ue, Bce) e Washington (Fmi), ma il malcelato entusiasmo con cui quelle minacce vengono agitate da partiti, corpi intermedi (Confindustria su tutti) e commentatori italiani per dirci che il nostro destino è morire Gentiloni: il fatto che i programmi di Lega e M5S si basino su ricette economiche diverse – e che esse siano tecnicamente possibili e già sperimentate – non rileva; il fatto che siano stati votati anche meno. A quel che resta della nostra classe dirigente, dei suoi media e della sua accademia piace la violenza dolce del “non ci sono alternative”. E qui si torna a Gaber e al ruolo dei giornali: “Avete ancora la libertà di pensare, ma quello non lo fate e in cambio pretendete la libertà di scrivere”. Non è la stessa cosa.