“Bianzino fu picchiato, il processo va rifatto”
Nuove perizie Il 44enne morì in cella nel 2007 ufficialmente per aneurisma, ma la famiglia ritiene di avere prove contrarie
Nuovi elementi possono portare alla riapertura delle indagini sulla morte di Aldo Bianzino deceduto il 14 ottobre 2007 nel carcere di Perugia due giorni dopo il suo arresto. Il 44enne, falegname, incensurato, era stato fermato insieme alla compagna per una piccola coltivazione di marijuana nei dintorni del suo casolare umbro. Dopo due giorni di detenzione, Bianzino venne trovato morto nella sua cella di isolamento. Il decesso avvenne per emorragia cerebrale dovuta, secondo la Procura, a un aneurisma. Per questo motivo il processo per omicidio volontario contro ignoti venne archiviato nel 2009. A restare in piedi fu il procedimento nei confronti di un agente della polizia penitenziaria, Gianluca Cantoro, condannato a un anno per omesso soccorso.
Tante cose, però, non quadrano. E ora due perizie concluse nel novembre 2017 dai due medici legali di parte, Luigi Gaetti e Antonio Scalzo, ipotizzano una verità diversa da quella processuale. La famiglia, tramite gli avvocati Cinzia Corbelli e Massimo Zaganelli, il 28 aprile ha Presentato alla procura di Perugia un’istanza per la riapertura delle indagini per omicidio volontario, iniziativa illustrata ieri con una conferenza stampa in Senato.
Secondo le nuove perizie, l’emorragia cerebrale di Bianzino è incompatibile con l’aneurisma, mentre sarebbe dovuta a un evento traumatico, ossia a colpi ricevuti in testa. La vittima fu poi rinvenuta con il fegato gravemente lesionato. Secondo la Procura ciò fu dovuto al tentativo di rianimazione in cui i soccorritori gli avrebbero distrutto il fegato. Le nuove perizie, invece, dimostrano come le lesioni epatiche avvennero in contemporanea a quelle cerebrali, quindi prima del decesso. Poi sono state rinvenute anche lesioni alla milza. “Durante l’esame ho potuto con- statare che parti del cervello di Aldo sono andate perdute o fatte sparire”, racconta Gaetti, anatomopatologo, ex senatore M5S. “Due giorni dopo l’arresto, mia madre, Roberta Radici, venne interrogata e le fu chiesto se mio padre, che in quel momento era già morto, soffrisse di problemi di cuore o svenimenti. Poi, dopo la scarcerazione, mia madre chiese: quando potrò rivedere Aldo? Sta male? La risposta fu: potrà rivederlo dopo l’autopsia. Ecco, così mia madre venne a sapere che il suo compagno era morto”, racconta il figlio Rudra Bianzino, 14enne all’epoca dei fatti. La madre Stefania morirà due anni dopo, nel 2009. Oggi è grazie alla perseveranza di Rudra che il caso potrebbe essere riaperto. “Non dobbiamo essere noi a sostituirci allo Stato e invece spesso tocca alle famiglie farsi carico di nuove indagini”, afferma Rudra Bianzino. “Nel processo le indagini sono state condotte all’insegna della sciatteria e del disprezzo della verità”.