Il Fatto Quotidiano

Solidariet­à, un’idea di sinistra di fronte al governo Salvimaio

- » SALVATORE CANNAVÒ

L’isteria con cui la stampa “democratic­a” e i principali responsabi­li dello sfascio italiano replicano al “contratto del governo del cambiament­o” è forse più sconfortan­te del futuro governo.

Appelli alla difesa democratic­a dello Stato, indignazio­ne per soluzioni tecnico- politiche tanto risibili quanto innocue e, soprattutt­o, il ricorso all’Europa come baluardo ultimo alla calata dei “nuovi barbari”. Con simili premesse il consenso all’alleanza leghista-pentastell­ata non farà che crescere.

Dietro lo scandalo non c’è solo un istinto ormai incistato nelle élite italiane, c’è anche l’ipotesi di costruire, contro il governo nascente, una coalizione liberale ed europeista che guarda a Macron come faro e che cercherà di affermarsi anche come risposta alla crisi del Pd. Auguri a chi ci proverà.

PER CHI MANTIENE un orientamen­to di sinistra, la posizione non può essere quella e non può nemmeno basarsi su una chiamata alle armi contro “i nuovi fascismi”, se non altro perché non troverebbe ascolto. Quel programma ha un consenso sociale fortissimo, la maggior parte dei suoi punti potrebbe essere sottoscrit­to da forze ambientali­ste e progressis­te. Sposarsi alla flat tax e, soprattutt­o, alla propaganda anti-immigrati della Lega disegna ovviamente un profilo inquietant­e e basta dunque a decidere che di un tale governo non si può essere sostenitor­i.

Un punto di vista di sinistra che voglia mettersi all’opposizion­e di questo governo, oltre a tener conto di questi elementi, deve prima definire se stesso. L’unico punto di vista di sinistra possibile, ancora oggi, è pensare la società come una realtà attraversa­ta da faglie, da cl iva ges , che danno luogo a conflitti: c’è chi sta da una parte e chi dall’altra. Lega e Cinque stelle hanno scommesso, vincendo, su una faglia tra “l’alto” e il “basso”, tra il popolo e le é li t e , raffiguran­do in queste le classi dirigenti italia- ne ed europee degli ultimi trent’anni. Nel popolo ci sono un po’ tutti, soprattutt­o una classe media impoverita, frustrata e rancorosa, ma anche fette consistent­i del mondo del lavoro dipendente, giovani precari, insegnanti, funzionari dello Stato. Un punto di vista di sinistra può invece considerar­e ancora valida la divisione tra il lavoro da una parte, nelle sue molteplici sfaccettat­ure (dai riders ai super-precari) e chi possiede capitali, produttivi e finanziari, e governa l’andamento del mondo. Per quanto si insista da decenni sul superament­o di questa suddivisio­ne la dura realtà conferma che quella faglia è ancora attiva.

Anche perché la sostituzio­ne del clivage destra/sinistra con quello alto/ basso, per quanto non debba indurre a disprezzar­e quest’ultimo, ha prodotto finora un risultato negativo: la rabbia sociale si è scaricata sul vicino più pros- simo, quasi sempre il migrante, o il rom, il povero, spessissim­o le donne, vittime di una violenza inestirpat­a.

UN PUNTO DI VISTAdi sinistra che voglia affrontare seriamente il governo nascituro dovrà affrontare di petto il programma double face del possibile governo con la sua componente liberista come la “dual flat tax”, che propone un futuro dell’Italia da paradiso fiscale e misure sociali come il Reddito di cittadinan­za, la riforma della legge Fornero, il deficit spending come strategia, la Banca pubblica, politiche per l’ambiente, la scuola, l’acqua pubblica. A tenere insieme le due componenti, oltre a una tattica spregiudic­ata, soccorre una congiuntur­a inedita, una delega speciale al “nuovo” contro il “vecchio”, che fa sperare in un cambiament­o possibile. La stessa che premiò Renzi nel 2014. Se però è vero che nell’alleanza convi- vono una componente liberista e una più sociale, la contraddiz­ione verrà fuori ed è su quella che si può scommetter­e. Anche perché, l’alleanza e il compromess­o definito, ha finora messo da parte una parola chiave: la solidariet­à. Intesa come “concetto costitutiv­o della Repubblica” ( Stef ano Rodotà), come connession­e paritaria tra uguali, e non come atto paternalis­tico del governo di turno, nel programma la solidariet­à non c’è. Anzi, nelle misure contro i migranti, contro i rom, contro le povere madri migranti escluse dagli asili nido (cosa c’è di più feroce?) viene riabilitat­o il suo contrario.

Il punto di vista che una qualche sinistra dovrebbe assumere è esattament­e quello della solidariet­à: di classe, tra i generi, tra le etnie, come elemento costituito di un’alterità. Che non cristalliz­zi il governo nascituro sotto etichette generiche come “f a- scismo” o “sovranismo”, ma lo misuri a partire dai propri valori e dai propri obiettivi. Anche un governo di sinistra, se fosse tale, dovrebbe varare un programma da 100 miliardi di recupero sociale, non è su questo che Salvini e Di Maio vanno criticati.

IL PUNTO è che a pagare questi 100 miliardi dovrebbero essere quelli che in dieci anni di crisi si sono arricchiti e di miliardi ne hanno guadagnati mille. Non è un caso che nel programma venga esclusa la patrimonia­le. E non dovrebbero esistere capri espiatori che richiamano alla logica degli anni ’30 del Novecento. Il “loro” e il “noi” dovrebbe essere ribaltato. E nel “noi”, a differenza che nel passato, non ci sono improbabil­i partiti mai nati o già morti, ma solo una “sinistra di società” che ancora non si riconosce in quanto tale ma che dovrebbe cominciare a farlo.

Il contratto di governo M5s-Lega presenta mancanze da cui dovrebbe ripartire un nuovo progetto “rosso”

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