L’informazione del servizio pubblico ostile verso qualunque pluralità di voci
Non si tratta di fare a mezzo tra destra e sinistra: è immancabile la parrocchietta dei parrucconi del pensiero unico
Il peso politico di Lega e M5S messi insieme – governo o meno, giusto nel peso parlamentare – va a corrispondere comunque a una tabula rasa. Se mai la faranno. E tra le tante, una: il servizio pubblico nell’informazione. Dopo le elezioni “se ne parla”, aveva detto Matteo Salvini, a proposito di Fabio Fazio (in foto) e di quel che deriva dall’onnipotenza ostracizzante di Che tempo che fa.
DIOCENESCAMPI una censura, ma la Rai renziana che se ne va, ostile verso qualunque pluralità di voci, è la fotocopia – perfino nei profili professionali dei vertici – della Rai berlusconiana, resa ancora peggiore dall’apporto disastroso di Alleanza nazionale (con tanto di cognatino di Gianfranco Fini pronto a lucrare e giustamente messo alla porta da Guido Paglia, dirigente di viale Mazzini, fortunatamente cresciuto a pane e Montanelli). L’associazione Lettera22, che riunisce giornalisti fuori cordata, ha lanciato un tema a questo proposito – La dittatura del politicamente corretto – ne ha discusso giovedì scorso in un convegno a Roma ma il vero argomento, specialmente per gli operatori culturali del servizio pubblico, anche per non ripercorrere gli stessi errori di questua, avrebbe dovuto essere uno e solo uno: “Quanto tempo s’è perso…”.
Tabula rasa, dunque. Per non dire del corollario che va a discendere per li rami in quella grande vetrina che è la fabbrica culturale della nazione. Fosse pure il solo Salone del Libro di Torino, un fondamentale evento che beneficia di fondi pubblici – come comunque qualsiasi altra macchina della produzione intellettuale “pubblica”, dal Maggio fiorentino alla Mostra del Cinema di Venezia – dove è sempre più urgente sia garantita quella pluralità che è richiesta dalla semplice onestà intellettuale, ma an- che dalla ovvia richiesta di mercato: la stragrande maggioranza degli italiani, quella che poi alle elezioni ha fatto una scelta antagonista rispetto all’andazzo, non è obbligatoriamente sintonizzata sul palinsesto di Rai Radio 3, l’inserto di Repubblica o i libri presentati da Fazio.
UN ROBUSTO ARTICOL Opolemico di Luigi Mascheroni, su Il Giornale, è andato dritto al punto quando da Torino, nel bel mezzo del Salone, ha evidenziato la totale assenza dell’altra metà (perfino maggioritaria) d’Italia. Non si tratta di fare a mezzo tra destra e sinistra, ci mancherebbe – la destra, si sa, è digiuna d’alfabeto – ma quel che s’impone nella Voce del Padrone, e sempre coi soldi dei cittadini, è immancabilmente la parrocchietta dei parrucconi del pensiero unico, ormai espressione di un establishment vivo solo negli agi autoreferenziali fatti di prebende, contratti e patti inamovibili sottoscritti dal mandarinato chiuso nella torre solida del “servizio pubblico”. Tabula rasa, insomma, urge.