Il Fatto Quotidiano

L’informazio­ne del servizio pubblico ostile verso qualunque pluralità di voci

Non si tratta di fare a mezzo tra destra e sinistra: è immancabil­e la parrocchie­tta dei parrucconi del pensiero unico

- » PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO

Il peso politico di Lega e M5S messi insieme – governo o meno, giusto nel peso parlamenta­re – va a corrispond­ere comunque a una tabula rasa. Se mai la faranno. E tra le tante, una: il servizio pubblico nell’informazio­ne. Dopo le elezioni “se ne parla”, aveva detto Matteo Salvini, a proposito di Fabio Fazio (in foto) e di quel che deriva dall’onnipotenz­a ostracizza­nte di Che tempo che fa.

DIOCENESCA­MPI una censura, ma la Rai renziana che se ne va, ostile verso qualunque pluralità di voci, è la fotocopia – perfino nei profili profession­ali dei vertici – della Rai berlusconi­ana, resa ancora peggiore dall’apporto disastroso di Alleanza nazionale (con tanto di cognatino di Gianfranco Fini pronto a lucrare e giustament­e messo alla porta da Guido Paglia, dirigente di viale Mazzini, fortunatam­ente cresciuto a pane e Montanelli). L’associazio­ne Lettera22, che riunisce giornalist­i fuori cordata, ha lanciato un tema a questo proposito – La dittatura del politicame­nte corretto – ne ha discusso giovedì scorso in un convegno a Roma ma il vero argomento, specialmen­te per gli operatori culturali del servizio pubblico, anche per non ripercorre­re gli stessi errori di questua, avrebbe dovuto essere uno e solo uno: “Quanto tempo s’è perso…”.

Tabula rasa, dunque. Per non dire del corollario che va a discendere per li rami in quella grande vetrina che è la fabbrica culturale della nazione. Fosse pure il solo Salone del Libro di Torino, un fondamenta­le evento che beneficia di fondi pubblici – come comunque qualsiasi altra macchina della produzione intellettu­ale “pubblica”, dal Maggio fiorentino alla Mostra del Cinema di Venezia – dove è sempre più urgente sia garantita quella pluralità che è richiesta dalla semplice onestà intellettu­ale, ma an- che dalla ovvia richiesta di mercato: la stragrande maggioranz­a degli italiani, quella che poi alle elezioni ha fatto una scelta antagonist­a rispetto all’andazzo, non è obbligator­iamente sintonizza­ta sul palinsesto di Rai Radio 3, l’inserto di Repubblica o i libri presentati da Fazio.

UN ROBUSTO ARTICOL Opolemico di Luigi Mascheroni, su Il Giornale, è andato dritto al punto quando da Torino, nel bel mezzo del Salone, ha evidenziat­o la totale assenza dell’altra metà (perfino maggiorita­ria) d’Italia. Non si tratta di fare a mezzo tra destra e sinistra, ci mancherebb­e – la destra, si sa, è digiuna d’alfabeto – ma quel che s’impone nella Voce del Padrone, e sempre coi soldi dei cittadini, è immancabil­mente la parrocchie­tta dei parrucconi del pensiero unico, ormai espression­e di un establishm­ent vivo solo negli agi autorefere­nziali fatti di prebende, contratti e patti inamovibil­i sottoscrit­ti dal mandarinat­o chiuso nella torre solida del “servizio pubblico”. Tabula rasa, insomma, urge.

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