Il Fatto Quotidiano

Senza concorrenz­a tra imprese, i salari restano bassi: la produttivi­tà non basta

Le leggi antitrust si limitano a tutelare i consumator­i dagli aumenti dei costi ma dimentican­o i dipendenti

- » MARIO SEMINERIO

Da tempo si rileva un andamento fortemente diseguale nella ripartizio­ne dei benefici della crescita economica, tra lavoro e capitale. Negli Stati Uniti, dalla metà degli anni ‘70, la crescita della produttivi­tà non ha determinat­o corrispond­enti aumenti delle retribuzio­ni reali, che sono invece stagnanti, crescendo di solo il 3% al netto dell’inflazione mentre la quota di valore aggiunto catturata dal capitale ha segnato una forte crescita.

Questo fenomeno, che ha minato il senso comune secondo cui la crescita della produttivi­tà è alla base del migliorame­nto di lungo periodo degli standard di vita, alimentand­o pulsioni populiste e anticapita­listiche, è indagato da tempo dagli economisti. Alcuni studi hanno scoperto che la crescita della concentraz­ione tra imprese, negli Stati Uniti, ap- pare tra i fattori responsabi­li della stagnazion­e salariale. Ad esempio, il lavoro di Azar, Marinescu e Steinbaum, pubblicato a dicembre 2017, suggerisce che la concentraz­ione geografico-occupazion­ale ha determinat­o negli Usa una riduzione dei salari del secondo e terzo quartile dei lavoratori dell’ordine del 17%, a causa dell’aumento del potere contrattua­le delle imprese. Le aziende agiscono in condizioni prossime al monopsonio, una situazione caratteriz­zata, di fronte alla concorrenz­a perfetta tra venditori, dall'accentrame­nto della domanda nelle mani di un solo soggetto economico. In numerosi distretti geografici statuniten­si, uno o pochi gruppi di imprese decidono le condizioni retributiv­e a livello locale, e questo spieghereb­be almeno in parte la stagnazion­e delle retribuzio­ni, malgrado i forti incrementi di produttivi­tà. Anche il tradiziona­le meccanismo di aggiustame­nto, la mobilità geografica dei lavoratori, che negli Stati Uniti è sempre stata elevata, da tempo mostra una tendenza alla riduzione. Le aziende hanno aumentato il proprio potere contrattua­le anche per altre vie, come i patti di non concorrenz­a, che impediscon­o di spostarsi immediatam­ente verso un concorrent­e, in caso di dimissioni.

Malgrado queste evidenze, l’aumento di concentraz­ione aziendale negli Stati Uniti è incessante, anche per effetto dell’affermarsi delle nuove tecnologie. Sinora le linee guida dell’antitrust sono state perlopiù non interventi­ste, basate sul benessere del consumator­e, in termini di riduzione dei prezzi pagati per prodotti e servizi. Ma le cose potrebbero cambiare. Il Dipartimen­to della Giustizia, sia sotto Obama che con Trump, ha iniziato a valutare in modo più restrittiv­o gli accordi di non concorrenz­a tra imprese e lavoratori, mentre molte giurisdizi­oni locali hanno accentuato il ricorso ad aumenti del salario minimo. I tempi non paiono invece ancora maturi per cambiament­i della legislazio­ne antitrust che non considerin­o solo i prezzi pagati dai consumator­i ma anche condizioni di monopsonio del mercato del lavoro.

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