Il Fatto Quotidiano

Roth, il bisbetico si fece popstar

L’ADDIO Più che uno scrittore, un campione per i suoi fan

- » FURIO COLOMBO

Poiché ho vissuto molto in America, e ora che mi chiedono di scrivere di Philip Roth, che è morto due giorni fa, so che sto per scrivere di lui come una persona che ha fatto parte della mia vita. Non è vero, l’ho incontrato (salvo che in pubbliche conferenze) solo due volte. La prima era un invito per Umberto Eco, con il quale ho parte- cipato alla visita ( Roth non invitava nessuno, avrà provveduto l’editore di Eco o di Roth).

Di quella visita ricordo solo la inesorabil­e mancanza di voglia di conversare del grande scrittore americano, e la bravura di Eco a trattenere ogni possibile battuta.

Poiché ho vissuto molto in America, e ora che mi chiedono di scrivere di Philip Roth, che è morto due giorni fa, so che sto per scrivere di lui come una persona che ha fatto parte della mia vita. Non è vero, l’ho incontrato (salvo che in pubbliche conferenze) solo due volte. La prima era un invito per Umberto Eco, con il quale ho partecipat­o alla visita ( Roth non invitava nessuno, avrà provveduto l’editore di Eco o di Roth).

Di quella visita ricordo solo la inesorabil­e mancanza di voglia di conversare del grande scrittore americano, e la bravura di Eco a trattenere ogni possibile battuta. Così uno ha parlato di Newark, la non allegra città del New Jersey in cui Roth era nato, e l’altro di Alessandri­a, la città piemontese, ma con un di più di affetto e festosità.

IL SECONDO incontro era stato voluto da Roth. Un comune amico ( e mio editore a New York, in quel tempo, Richard Grossman) aveva detto a Roth che io avevo conosciuto Primo Levi. “Voglio parlare di quell’uomo, voglio scriverne”, mi aveva detto senza premesse e senza spiegazion­i, indicando luogo, giorno e ora (verso sera, nel caffè di un vecchio albergo che allora esisteva sul Central Park South).

Ormai conoscevo i suoi modi un po’ bruschi, che in un film sarebbero stati più tipici di un esigente istruttore sportivo che di uno scrittore celebre. Avevo chiesto a Susan Sontag (come aveva fatto Eco) di orientarmi sull’umore di Roth, che non sempre era lieto. E puntavo comunque a ricavarne una intervi- sta per La Stampa ( il mio giornale di allora), che è uscita infatti due giorni dopo proprio sul tema “vita, tregua e morte” di Primo Levi.

Credo di poter dire che Philip Roth ha contato moltissimo, in America, nello spostare Primo Levi dallo scaffale dei sopravviss­uti, per farlo entrare, con grandissim­a attenzione critica, nella biblioteca dei grandi scrittori del mondo. È stato qui che è nato il progetto di Larry Rivers, un grande della Pop art, di fare i tre ritratti di Primo Levi, con le fotografie che io gli procuravo, avute da La Stampa e dalla famiglia.

Quei quadri sono stati acquistati da Gianni Agnelli e adesso sono al Lingotto a Torino. Eppure non è da questi due incontri, formali e un po’ rigidi, che può essere nata la mia persuasion­e di una frequentaz­ione stretta e continuata con Philip Roth. Però quella frequentaz­ione c’è stata davvero, perché, una volta identifica­to l’autore di Goodbye Columbus, del Lamento di Portnoy e il sosia di Roth, Nathan Zuckerman ( il personaggi­o di varie narrazioni letterarie che diventa celebre come un attore, in un Paese come l’America) i media americani non hanno mai spento il faro.

È successo che il lavoro, le trovate, i cambiament­i, i nuovi personaggi di Philip Roth (chiamato Phil dai suoi milioni di lettori, che aspettavan­o il suo nuovo libro come un tempo si aspettavan­o gli strilloni dei quotidiani) sono diventati un affare collettivo grande come il popolo abbastanza grande dei lettori di quel Paese.

MA PHILIP ROTH, il non cordiale interlocut­ore di cui vi ho parlato, ci metteva del suo. C’era un che di collettivo, un che di cronaca sportiva nel lavoro del miglior scrittore americano del secolo ( The New York Review of Books, The New York Times). Agganciava larghi schieramen­ti di lettori che si aspettavan­o per lui il Nobel.

Forse è la prima volta che si può dire di un celebre scrittore che ha lasciato soli i critici che lo hanno amato (qua- si tutti i grandi d’America), il vasto cerchio dei lettori che gli era legato e che sono persuasi di avere vissuto con lui e accanto ai suoi personaggi. Lascia anche un mare di fan, qualcosa che è tipico più di un campione che di uno scrittore.

L’INCONTRO “Conoscevo i suoi modi un po’ bruschi. Avevo chiesto a Susan Sontag di orientarmi sul suo umore che non sempre era lieto”

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 ?? Contrasto/Ansa ?? Schivo e poco mondano Piliph Roth (in alto, in casa sua) nel 2011 fu premiato da Obama con la National Humanities Medal. Sotto, Eco
Contrasto/Ansa Schivo e poco mondano Piliph Roth (in alto, in casa sua) nel 2011 fu premiato da Obama con la National Humanities Medal. Sotto, Eco
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