Il Fatto Quotidiano

La Mambro in aula: “Io come una deportata” I parenti dei caduti di Bologna se ne vanno

L’ex Nar testimone davanti alla Corte che giudica Cavallini 38 anni dopo

- » SARAH BUONO

“Non ho fatto nulla di cui dovermi vergognare qui oggi a Bologna mi sento una deportata in questa città, io non ho mai perduto l'umanità anche quando ho fatto cose malvagie”. Decisa e spavalda nonostante i nove ergastoli, Francesca Mambro ha fatto il suo ingresso nel processo a carico del vecchio sodale Gilberto Cavallini. L'accusa, 38 anni dopo, è quella di aver offerto supporto per la strage del 2 agosto 1980 alla stazione bolognese a lei, al suo compagno Valerio Fioravanti e a Luigi Ciavardini condannati con sentenza definitiva. Una condanna che gli ex Nar hanno sempre rifiutato.

“Mi sono assunta la responsabi­lità politica, morale e processual­e di tutti gli omicidi e le rapine, ma la strage io non l'ho commessa, sono state dette troppe menzogne e cat- tiverie, io qui non dovrei esserci né come teste né come condannata” ripete Mambro come fa da decenni, nella sua prima dichiarazi­one. “Per me – prosegue – è motivo di grande stress ma sono qui perché credo in questo Stato e credo che possa portare la verità a questo Paese”. E scatena i mugugni dei parenti delle 85 vittime presenti in Corte d'Assise. “È una settimana che mi si torcono le budella, il fatto di rivederla arrivare con gli occhiali neri da sole e uno spiegament­o di television­i che la fanno sembrare una diva, una star... beh è deprimente”, si la- scia scappare la vicepresid­ente dell'associazio­ne dei famigliari Anna Pizzirani poco prima di lasciare l'aula per alcuni minuti. Troppo doloroso, molti ieri hanno preferito non venire. Il clima è teso e l'ex terrorista di destra battibecca spesso con i pm Antonello Gustapane e Enrico Cieri ai quali, per difendere alcune i n co n g ru e n ze , risponde: “N on mi sono riletta i verbali, non è un esame”. Se Ciavardini, come ha raccontato nella scorsa udienza, sceglie la lotta armata dopo la delusione di essere stato cacciato dalla Marina in seguito alla scoperta di alcune rapine, per la Mambro il momento di svolta è il 7 gennaio 1978, l'attentato alla sede del Movimento Sociale Italiano in via Acca Larentia a Roma nel quale vengono uccisi tre giovani ad opera di, ignoti, militanti di sinistra, forse legati alle Brigate Rosse. “Da quel momento non avremmo più a- spettato inermi che ci venissero a sparare o a bruciare vivi, non saremmo più stati prede dei cacciatori ‘rossi’. Eravamo carne da macello, la vita di un ragazzo di destra non aveva alcun valore, per questo decidemmo di difenderci e iniziammo a fare rapine e a rubare armi, non avevamo soldi o chi potesse portarci le armi dall'estero, noi ce le andavamo a prendere”. Nessuna commozione o tentenname­nto, la donna condannata a 84 anni e 8 mesi ma uscita dal carcere definitiva­mente nel 2013 con pena estinta non arretra mai e si avvale raramente dei “non ricordo”. Nega qualsiasi rapporto con Licio Gelli, capo della loggia P2 condannato per depistaggi­o delle indagini sulla strage del 2 agosto 1980. Dice che con Massimo Carminati, ex Nar ed ex Banda della Magliana condannato ma non per mafia nel processo al “mondo di mezzo” a Roma, “non ha mai commesso alcun reato”. E di Renato Vallanzasc­a racconta: “Pensammo di farlo evadere per scatenare una reazione di solidariet­à ed emulazione nei nostri confronti”.

La deposizion­e Condannata per la strage, si dice innocente: “Non ho nulla di cui vergognarm­i in questa città”

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Ansa Gli ex Nar Francesca Mambro e Gilberto Cavallini
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Ex terroristi

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