Fuest, Gramsci, Conte e l’eterna (pessima) media cultura italiana
No, per carità, Giuseppe Conte ha abbellito un suo curriculum del 2013: anche se, va detto, quel testo è assai meno scorretto delle migliaia di pezzi e commenti (eccetto un paio) che gli sono stati dedicati ignorando persino le risposte delle università straniere citate dal quasi premier. Ora mettere un (grande o piccolo) tecnico alla guida di un Paese non è mai una buona idea: troppi amici, troppi conoscenti, troppe parcelle, troppi beni al sole. Ma la reazione della stampa a questo travet che avrebbe potuto esse- re ministro con Monti segnala un inquietante cambio di fase dei media mainstream: da cane di compagnia del potere a rabbioso difensore dello status quoconto terzi. Ora questo non è preoccupante per Conte, di cui c’importa il giusto, ma per il futuro. Ieri l’influente economista tedesco Clemens Fuest, membro degli esperti Cdu, ha detto questo: “La Bce dovrebbe verificare se sia possibile comprare ancora titoli di Stato italiani”. È una minaccia “greca” che ha anche il pregio di svelare quale ruolo assegnino gli amici di Berlino alla mitica Bce indipendente. Ora, quando si passerà dalle minacce ai fatti, avere questo livoroso e antiscientifico sistema dei media sarà, oltre che un brutto spettacolo, un grosso problema. Nulla di nuovo, eh, siamo sempre a Gramsci e alle “cattive tradizioni della media cultura italiana”. Queste: “L’improvvisazione, il ‘talentismo’, la pigrizia fatalistica, il dilettantismo scervellato, la mancanza di disciplina intellettuale, l’irresponsabilità, la slealtà morale e intellettuale”. Qualcuno riconosce qualcuno?