Contratto più di centro che di destra
Per l’Istituto Cattaneo è centrista
“Èun contratto di destra, altro che post ideologico”, ha detto qualche giorno fa Maurizio Martina, segretario reggente del Pd. Si sa poco di Giuseppe Conte, presidente del Consiglio incaricato, ma tutto quel poco racconta un intellettuale cresciuto nel mondo della sinistra. Ora “l’avvocato del popolo” dovrà attuare un programma di destra? Secondo l’Istituto Cattaneo non proprio.
IL CENTRO STUDI di Bologna ha pubblicato un’analisi a cura di Macro Valbruzzi che ridimensiona i timori di Martina: “Sull’asse sinistra-destra il programma elaborato congiuntamente da M5S e Lega si situa al centro dello spazio politico, più vicino alle posizioni del partito di Di Maio che non a quelle, più estreme della Lega”. La misurazione del colore politico del contratto di governo si basa sugli standard del Comparative Manifesto Project: un elenco di 26 categorie di politiche pubbliche, 13 di destra e 13 di sinistra, e su altre due polarizzazioni, quella tra progressisti e con- servatori sui diritti civili e quella tra europeisti ed euro-scettici.
Come si vede dal grafico in pagina, il contratto di governo si piazza al centro dello spettro politico destra- sinistra. Per ragioni che non sono però tutte rassicuranti per gli elettori di sinistra del Movimento 5 Stelle. L’Istituto Cattaneo ha analizzato con gli stessi parametri i programmi dei partiti alle elezioni del 4 marzo e ha confrontato il loro posizionamento con quello del contrat- to di governo: si scopre che la Lega di Matteo Salvini è riuscita a piazzare nel documento di compromesso gran parte delle sue priorità su sicurezza e immigrazione (che rappresentavano il 40 per cento delle proposte elettorali, contro l’ 11,3 nel programma M5S). I Cinque Stelle invece hanno ottenuto di inserire nel contratto praticamente tutte le loro istanze su welfare e istruzione: erano il 20,1 per cento delle proposte nel programma del Movimento, sono il 27,6 in quello del governo Conte perché anche la Lega aveva le sue e sono state inglobate.
PRIMO PROBLEMA per gli elettori di sinistra: le misure “legge e ordine” sulla sicurezza e contro gli immigrati sono a costo zero o quasi, quindi hanno buone probabilità di essere realizzate. La lista della spesa sul welfare – dal reddito di cittadinanza agli aiuti alle famiglie – è virtuale finché non si trovano le coperture (o finché non si decide di violare i vincoli di bilancio). “Non si è trattato di una soluzione di compromesso che ha moderato le punte più estreme dei programmi elettorali dei due partiti, piuttosto si è osservato un allargamento dell’azione del governo dove le posizioni securitarie più estreme della Lega hanno un peso inferiore rispetto alle misure sociali avanzate congiuntamente dai due partiti”, è la sintesi di Marco Valbruzzi. Nella lunga marcia verso il contratto, ciascuno dei due partner ha sacrificato qualcosa: dall’analisi dell’Istituto Cattaneo risulta che la Lega ha smussato i suoi toni euro-critici e abbandonato (per ora) i propositi di uscita dalla moneta unica, mentre Luigi Di Maio ha lasciato cadere ogni pretesa nel campo dei diritti civili, che invece erano citati (di striscio) nel programma elettorale.
L’EQUILIBRIO raggiunto sui programmi si riverbera nella spartizione dei ministeri: Salvini si prenderà quello dell’Interno, per gestire la questione immigrazione. Di Maio vorrebbe un super dicastero che accorpi Sviluppo e Lavoro. Il fatto che però anche il ministero del Tesoro sia destinato a un leghista (pare il contestato Paolo Savona) lascia al partito di Salvini l’ultima parola anche sulle proposte di welfare, quelle su cui si misurerà il successo dell’esperienza governativa dei Cinque Stelle. Perché i ministeri dello Sviluppo e del Lavoro possono decidere quanto spendere, ma è il Tesoro a stabilire se possono farlo o meno.