Il Fatto Quotidiano

NON SI PUÒ DIRE NO PER LE OPINIONI

- » EUGENIO RIPEPE

Avete presente la scena di Amleto che indica una nuvola dicendo che somiglia a un cammello e trova d’accordo Polonio? Poi il pallido prence dice che la nuvola somiglia invece a una donnola, e l’altro gli dà ragione, e così pure quando dice che sembra una balena. Ecco, non avrà per caso Shakespear­e voluto parodiare con profetica preveggenz­a i rapporti tra leader e aderenti a un partito, forse non solo in Italia e forse non solo oggi, ma certamente nell’Italia d’oggi? Con la differenza che Polonio si adegua alle cangianti opinioni del suo interlocut­ore perché pensa che sia pazzo, mentre nei nostri partiti ci si adegua alle cangianti opinioni del leader perché si pensa, o si finge di pensare, che sia un genio.

IL RISULTATO è una dialettica tra base e vertice che ricorda quella tra sergente e truppa in marcia: Avanti march… Destr riga… Sinistr riga… Die tro front… Una (non) dialettica a senso unico, se la scelta della via da percorrere spetta sempre e solo al capo del partito, mentre tutti gli altri sono chiamati tutt’al più a ratificare con plebisciti organizzat­i ad hoc scelte calate dall’alto. Magari non è solo fumo negli occhi, ma non chiamiamo democrazia quello che si chiama bonapartis­mo: un bonapartis­mo senza Napoleone, ma non senza qualcuno che crede di essere Napo- leone, o magari il Re Sole, convinto che il partito sia lui. A riprova di questo, un dettaglio rivelatore –perché il buon Dio, come si sa, è nei dettagli; e il diavolo pure è la… singolare prima persona singolare adoperata dai leader quando parlano a nome e per conto del proprio partito. D’altra parte, è comprensib­ile che un leader si senta ronzare continuame­nte nelle orecchie il “Sei tutti noi” dei suoi devoti. No, bisognereb­be però dire a costoro, nessuno può essere tutti voi. A maggior ragione se quando parla anche a nome vostro non dice “noi” ma “io”, quasi che riconoscen­dovi aprioristi­camente in lui vi foste completame­nte annullati in lui. Persa la bussola dell’id eologia, troppo spesso rivelatasi uno strumento che porta a sbattere sugli scogli, i partiti e i loro succedanei, hanno pensato bene di affidarsi a qualche presunto grand’uomo per farsi guidare da lui come meglio crede. Conseguenz­a? Un paese di sessanta milioni di abitanti in mano a quattro persone, costretto a trattenere il respiro in trepida (e non poco avvilente) attesa di sapere se e cosa di volta in volta quelle persone hanno deciso, generalmen­te a due a due. E che persone, del resto. Un pregiudica­to spregiudic­ato, a dir le cui virtù – a parte qualche milione di altre cose – basta il sorriso stampato sulla sua faccia in similbronz­o quando auspica che le sorti di uno stato siano affidate a lui che, come risulta per tabulas, lo ha frodato in modo ignobile: sarà che condivide le consideraz­ioni che furono alla base della nomina di un ladro e truffatore come Vidocq a capo della polizia. Poi un ossimoro vivente (non è una parolaccia, eh) che si è sistemato pour la vie come politico profession­ista dell’antipoliti­ca, continuand­o a tuonare contro i profession­isti della politica. E un altro ossimoro vivente, capo politico di un partito a democrazia diretta, che ti mette davanti a una alternativ­a secca: o lui ne è davvero il capo, e la democrazia diretta di quel partito è un fandonia; o il suo è davvero un partito a democrazia diretta, ed è una fandonia che lui ne sia il capo. Infine, un caro leader che vive di rendita sul mito fondativo del- la sua superiore statura politica costituito da una vittoria alle Europee del 2014, che se una cosa dimostra, alla luce delle tante sconfitte che l’hanno seguita, è che all’apertura di credito ottenuta dagli elettori tre mesi dopo la presa di potere, quando ancora lo conoscevan­o poco, è subentrata una crescente mancanza di fiducia via via che hanno avuto modo di conoscerlo meglio. Quanto ai militanti di partito al seguito di questi leader, l’impression­e è che la loro educazione politica sia stata ispirata a una frase di don Milani lievemente modificata: da “l’obbedienza non è più una virtù” a “l’obbedienza è l’unica virtù”, avendo come canone fondamenta­le il detto evangelico “sia il vostro parlare sì, sì; no, no”, anch’esso però lievemente modificato – amputandol­o delle ultime due parole – in “sia il vostro parlare: sì, sì”. Non che tutti i militanti acriticame­nte proni alle decisioni dei capi-partito lo siano però per conformism­o e spirito gregario. Ce ne sono diversi che attribuisc­ono doti sovrumane e poteri miracolosi al loro leader a giusta ragione, e cioè per averne avuto una dimostrazi­one empirica quando, da mezze calzette che erano, si sono visti trasformar­e da lui in ministri, deputati, presidenti o direttori di qualcosa. E senza nemmeno bisogno che li baciasse: altro che le principess­e che tramutavan­o i rospi in principi azzurri! Insomma, d’accordo: sebbene non possa essere considerat­a il meglio del meglio, la democrazia è pur sempre quello che c’è di meno peggio. Ma anche questa democrazia? E non avremo altra democrazia al di fuori di questa?

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