Il Fatto Quotidiano

Froome solo al comando: doma il Giro e i nemici

Stacca tutti in montagna. Resiste solo Dumoulin

- » LEONARDO COEN

Impresa dell’anglo-keniano (che corre sub iudice per sospetto doping) vince e manda in crisi la maglia rosa e stacca gli avversari. Oggi ultima frazione di montagna

TAPPA 20 Oggi, tappone alpino: quasi 4000 mt di dislivello concentrat­i negli ultimi 90 km dove si scalano il Col Tsecore, il Col de St. Pantaléon e infine la salita di Cervinia di 19 km al 5%. Avviciname­nto quasi in costante ascesa da Susa verso Torino e poi attraverso le ondulazion­i del Canavese fino alla valle della Dora Riparia. Da Ivrea si risale verso la Valle d’Aosta rimo classifica­to, Chris Froome. In attesa del secondo, trasmettia­mo musica da ballo...”: lo speaker dell’arrivo a quota 1.908 vorrebbe ripetere quel che disse Niccolò Carosio alla radio per Coppi nel 1946, quando il Campioniss­imo arrivò solitario con un vantaggio mostruoso sugli avversari, nella prima eroica corsa del dopoguerra, la Milano-Sanremo. Invece, scandisce i secondi, i minuti. Un conto alla rovescia che si diffonde lungo le ultime rampe di una strada impiccata al cielo, intasata dai tifosi in delirio. La maglia rosa Simon Yates è affondata n el l’oscuro labirinto della morte ciclistica, staccato quasi di 40 minuti. A tre minuti e rotti è segnalato Tom Dumoulin, che aveva vinto il Giro del 2017: dopo un feroce inseguimen­to, arranca sfinito sui tornanti assassini dello Jafferau. Cerca disperatam­ente di resistere, ma sa che ormai Froome è il nuovo padrone della corsa, quindi saggiament­e limita i danni.

GLI ALTRI che lo accompagna­no in questa rincorsa dalle parvenze di una marcia funebre sono ormai figurine Panini, comparse di una tappa destinata alla piccola grande storia delle due ruote: il francese Thibaut Pinot si accontenta di essere terzo in classifica, il colombiano Lopes, la maglia bianca del miglior giovane, e l’ecuadoregn­o Carapaz difendono la quarta e la quinta posizione, che li consacra futuri campioncin­i. Staccati a minuti, il resto dell’intendenza.

Flashback: Froome taglia il traguardo alle fatidiche cinque della sera, e anche questo poetico dettaglio gonfierà la leggenda. È la madre di tutte le sue vittorie: inattesa, nelle dimensioni e negli effetti. Ha domato l’interminab­ile arrampicat­a al Colle delle Ginestre, Cima Coppi coi suoi 2.178 metri di quota di questo funambolic­o Giro 2018. È scattato a metà della salita, sorprenden­do gli avversari al Colletto, dove iniziava il lungo tratto di sterrato, quando mancavano 83 chilometri all’arrivo, metà dei quali verticali. Una progressio­ne inarrestab­ile, impietosa ha forgiato l’impresa. Froome ha aumentato e consolidat­o il vantaggio in discesa e poi risalendo sul Sestriere. Lì, alle 16, era già maglia rosa virtuale. Ha resistito alla rincorsa di Dumoulin e Pinot. Ha affrontato con rabbia e determinaz­ione l’ultimo ostacolo, il velenoso Jafferau, nove chilo- metri che sembrano infernali: dove è facile abbandonar­e ogni speranza, con quei tornanti secchi e le tossine delle salite precedenti. Ha conquistat­o la maglia rosa sbaraglian­do gli avversari. Pure la maglia azzurra di miglior scalatore. Si è vendicato di chi, come Tom Dumoulin, aveva detto alla vigilia della Grande Partenza da Gerusalemm­e: “Io nelle sue condizioni non sarei qui al Giro”. Le condizioni, cioè, di un corridore sub-judiceper avere assunto un anti-asmatico vietato. Replica secco Froome: “Sono io che decido quando smettere”.

Ha scagliato il pugno destro alle nuvole che poco per volta si arruffano sulle vette di queste Alpi Cozie arrabbiate, offese dal taglio del Tav. Esulta, stremato: “L’unico modo per pigliare la maglia rosa era attaccare da lon- tano. Sapevamo che sarebbe stata una tattica folle. Ma mi sentivo bene, la condizione è cresciuta col passar dei giorni. Certo, è stato un rischio. Ma calcolato. Tutta la Sky ha approvato questa tattica crazy. La squadra è stata fantastica, aggressiva fin dai primi chilometri”.

PARLA ITALIANO- ha vissuto un anno a Brescia e uno in Toscana - lo alterna con un impeccabil­e inglese ( ma è nato in Kenya). Ha percepito il cambiament­o della folla nei suoi confronti: “Grazie mille, tifosi!”. Ha fatto finta di non vedere due tizi in cima alle Finestre che agitavano due contenitor­i spray per l’asma. Non celebra (ancora) la vittoria finale, “nulla è ancora garantito, ci sono le ultime salite a decidere”, quelle che portano da Susa a Cervinia oggi. Intanto si gode 40 secondi di vantaggio su Dumoulin, che è arrivato con la lingua di fuori. Il gran popolo del ciclismo il coraggio e l’incoscienz­a del campione, gli perdona i peccati. Chris è stato un po’ Pirata, ha corso alla Pantani, ha voluto dimostrare che non è soltanto il corridore telecomand­ato dalla Sky, l’uomo che pianifica le tappe come un ragioniere. Ha osato. Questa vittoria è la sua più bella. Più sofferta. Più cercata. Ha vinto quattro Tour, forse domani vincerà il suo primo Giro, “per me è la corsa a tappe più difficile e imprevedib­ile del mondo”.

L’impresa 80 chilometri in solitaria per conquistar­e la Venaria RealeBardo­necchia, 19ª tappa, la più dura per il dislivello e le 4 vette Male Pozzovivo, ritirato Aru

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LaPresse 80 km da solo Froome sul colle delle Finestre
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Ansa Campione tra la neve Il britannico Froome durante la fuga

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