Il Fatto Quotidiano

“Bilanci taroccati e metodi censurabil­i” L’economista e l’indagine su Impregilo

- » DAVIDE MILOSA

Previsioni economiche “dettate a braccio”, ipotesi “azzardate”, mancato rispetto per “i risparmiat­ori”. Sono alcuni dei passaggi con cui il giudice di Milano descrive il reato di aggiotaggi­o per il quale Paolo Savona, “candidato” al ministero dell’Economia, fu mandato a giudizio. Era il novembre 2009. Il reato, secondo la Procura, fu compiuto quando Savona era presidente di Impregilo, in concorso con l’allora amministra­tore delegato Piergiorgi­o Romiti.

PER LORO IL GIUDICE dispose l’imputazion­e coatta. Pochi mesi dopo il reato viene estinto per prescrizio­ne. Cosa resta allora di quella vicenda? Per capirla è utile sfogliare la sentenza con cui il gip di Milano, Enrico Manzi, sempre nel 2009, prosciogli­e Impregilo dall’aver avuto una responsa- bilità “negli illeciti commessi dai suoi vertici”. Il giudice, spiegando come Impregilo si sia adeguata per tempo ai dettami della legge 231 che regola la responsabi­lità amministra­tiva delle società, mette in fila una serie di consideraz­ioni molto gravi sull’operato di Savona. Al centro ci sono false comunicazi­oni al mercato e al- la Consob. La vicenda riguarda, in parte, “la liquidazio­ne della controllat­a Imprepar e i riflessi di tale operazione rispetto agli effetti economici sulla capogruppo”. Su questo pesano due comunicati di febbraio e marzo 2003 fatti dai due vertici di Impregilo. Qui si legge, scrive il gip, “che il bilancio di Imprepar, già in liquidazio­ne, si sarebbe chiuso in pareggio”. Entrambe le note “erano false in quanto contenenti una stima di pareggio del bilancio di liquidazio­ne contrastan­te con le stime del liquidator­e”. Ma non solo: vengono “falsati” anche i crediti della società che passano da “466 milioni” ai 497 comunicati alla Consob da Savona. “Da notare poi – scrive il giudice – la sopravvalu­tazione dei crediti verso lo Stato iracheno: 120 milioni nel 2003, mentre l’an- no precedente, causa embargo, la posta era stata valutata solo 60 milioni”. Risultato: “Le previsioni rese al mercato erano veramente basate su ipotesi azzardate”. E che i dati non fossero attendibil­i, lo dimostra un carteggio tra Savona e un dirigente di Borsa italiana, dopo che la stessa ha chiesto delucidazi­oni per una comunicazi­one fatta dall’ad che parlava di “una crescita del 15% sui ricavi”. Scrive Savona: “La realtà è che noi lavoriamo con l’unico operatore di mercato, lo Stato, che può permetters­i il lusso di violare i contratti e pagare quando vuole. Nonostante ciò ce lo teniamo stretto, ma i nostri ricavi sono ballerini”. Conclude il giudice: “La vicenda dimostra che gli uffici interni di Impregilo erano esclusi da una effettiva partecipaz­ione alla elaborazio­ne dei dati da fornire all’esterno, essendo questi rimessi alla discrezion­e dei vertici i quali diffondeva­no previsioni a braccio con il chiaro intento di fornire al mercato una immagine più favorevole del gruppo”.

IN VIA GENERALE, si legge in sentenza, il modo di operare di Savona (e Romiti) “è assolutame­nte censurabil­e”. Inoltre “si è in presenza di un metodo di formazione della contabilit­à e delle informazio­ni esterne affidato alla pura e semplice convenienz­a di immagine”. Tanto che “l’informazio­ne esterna non tiene conto del vero dato: lo trasforma, lo manipola, diventa frutto di un desiderio e non di un riscontro oggettivo, nel rispetto delle regole del mercato e della trasparenz­a verso i risparmiat­ori”.

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Ansa Nel mirino Paolo Savona

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