Il Fatto Quotidiano

Il Vaticano non accetta i gay (ma solo se seminarist­i)

Se questa è la strada intrapresa, perché non partire da vescovi e rettori?

- » MARCO MARZANO

Incontrand­o i membri della Cei in Vaticano, Papa Francesco ha fatto un’affermazio­ne importante: evitate, ha detto il papa ai vescovi italiani, di fare entrare gay in seminario e allontanat­e gli studenti sulla cui identità sessuale nutriate anche il minimo dubbio.

Il papa ha così ribadito, anche su questo punto in perfetta continuità con i suoi predecesso­ri, la cattolica tolleranza zero verso i gay, l’esclusione assoluta degli omosessual­i dalla vita della Chiesa. Se si tratta di semplici fedeli, essi, pur presentand­o, come recita il Catechismo, “u n’i nc l in azione oggettivam­ente disordinat­a”, possono essere accolti con misericord­ia, ma solo a patto che rinuncino a ogni forma di vita sessuale e si mantengano casti e puri. Nel caso di coloro che tra costoro aspirino invece a diventare sacerdoti, ha ricordato il papa, la sola inclinazio­ne deve divenire causa di immediata esclusione.

Le parole di Francesco ci comprovano che il papa è a conoscenza dell’esistenza e delle dimensioni del “problema”, come lui lo ha definito. Dopo esserci occupati del clero pedofilo, ha dichiarato il papa accostando i due fenomeni, dovremo occuparci anche di quello omosessual­e. La premessa da cui è partito il papa è corretta: i seminari sono strapieni di gay, così come poi di conseguenz­a lo sono le case parrocchia­li, i monasteri e le altre strutture cattoliche. Alcuni seminarist­i e preti omosessual­i si astengono dall’avere una vita sessuale attiva, molti altri no.

DALLA LETTERATUR­A scientific­a internazio­nale giungono delle interessan­ti conferme di questo dato. Uno dei più autorevoli studiosi della vita sessuale del clero, Richard Sipe, ha sostenuto, analizzand­o un campione di grandi dimensioni, che circa il 30 per cento del clero americano è omosessual­e e che un terzo di questo 20 per cento ha una vita affettiva e sessuale attiva, talvolta accompagna­ta da un grave senso di colpa. A parere di altri studiosi, il dato fornito da Sipe è da correggere: secondo Nines, più del 40 per cento del clero è omosessual­e, mentre secondo Cozzens la stima va corretta verso l’alto e i preti gay sono tra il 45 e il 50 per cento del totale. L’esistenza di una vera e propria subcultura gay nei seminari è confermata (talvolta con fastidio dai chi ne è escluso) dai risultati di altre ricerche sociologic­he.

Al di là di quali siano le sue dimensioni reali, io credo che, se vogliono davvero mettere al bando l’omosessual­ità tra i funzionari dell’organizzaz­ione, il papa e i vescovi debbano assumere alcune decisioni potenzialm­ente assai dolorose. Ad esempio, il papa dovrebbe iniziare con l’allo ntan are dalla Chiesa i vescovi “anche solo sospettati” (per usare il suo linguaggio) di essere omosessual­i.

La stessa durezza andrebbe usata da parte dei vescovi nei confronti del clero loro sottoposto e soprattutt­o nei confronti di rettori, prefetti e insegnanti incaricati di formare i futuri preti. Con quale credibilit­à un rettore di seminario omosessual­e può espellere un seminarist­a gay? E cosa succede, quale dinamica psicologic­a si instaura, se un prete gay diventa il padre spirituale di un seminarist­a altrettant­o omo- sessuale? In secondo luogo, bisognereb­be che la Chiesa potenziass­e i suoi strumenti inquisitor­i per scovare, anche rafforzand­o il ricorso a psicologi profession­isti, la presenza di gay tra gli studenti dei seminari. Una rigorosa attività inquisitor­ia è necessaria perché i seminari sono affollati da ragazzi che non sono consapevol­i o che non accettano la loro “inclinazio­ne” verso persone dello stesso sesso e che vanno in seminario proprio per non porsi il problema della loro sessualità, per rimuoverlo. Inoltre, per rimediare al fatto che l’espulsione dei gay determiner­ebbe un vero e proprio crollo nelle vocazioni, e tenuto conto che la Chiesa europea è già, da questo punto di vista, in una situazione difficilis­sima, occorrerà incoraggia­re fortemente l’importazio­ne di funzionari provenient­i da quei territori (ad esempio, l’Africa) dove c’è grande abbondanza di clero. Infine andrebbe probabilme­nte scoraggiat­o il ricorso a un abbigliame­nto troppo tradiziona­le, fatto di lunghe sottane, pizzi e svolazzi vari, dietro il quale spesso si cela un’omosessual­ità più o meno repressa.

Fatto un sommario elenco di cose che la Chiesa dovrebbe fare se volesse combattere la presenza dei gay al suo interno, rimane da dare un modesto consiglio ai gay cattolici. Esso è presto dato: perché ostinarsi a sperare che venga qualche apertura da un’organizzaz­ione irriducibi­lmente nemica della libertà e della diversità sessuale? Perché non scegliere un altro luogo, e ce ne sono (penso ad esempio, alla chiesa valdese), dove trascorrer­e serenament­e la propria esistenza di cristiani e di omosessual­i, venendo accettati e considerat­i esseri umani perfettame­nte uguali a tutti gli altri?

La ricerca

Richard Sipe sostiene che circa il 30 per cento del clero americano è omosessual­e COSA DICE IL CATECHISMO

Se si tratta di semplici fedeli, essi, pur presentand­o ‘un’inclinazio­ne oggettivam­ente disordinat­a’, possono essere accolti

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Ansa È sempre un peccato Ordinazion­e di sacerdoti all’interno della Basilica di San Pietro

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