I borghi verso l’estinzione Il Sud sparisce
I ricercatori del team “Rionero 2020” hanno cominciato dal Molise: il primo paese a sparire sarà Castelverrino, seguirà Poggio Sannita (2037). Dopo la zona di Isernia, sarà analizzato il Cilento interno
Un Sud destinato a sparire. Lo dicono i numeri, quelle fredde statistiche stilate dall’Istat. L’Istituto centrale di statistica nei giorni scorsi ha calcolato che l’Italia è un Paese che perderà popolazione nei prossimi anni. Si muore di più e si nasce di meno e nel 2045 gli italiani saranno 58, 6 milioni: 7 milioni in meno rispetto al 2016. Dove vivranno? In gran parte al Nord, nelle città più vicine a l l’Europa, con la conseguenza di uno svuotamento progressivo e inarrestabile del Sud.
Nelle placide montagne del Molise, nel caos creativo napoletano, nella dolcezza della Basilicata, nella rude bellezza della Calabria, fino alla punta estrema della Sicilia, resteranno in pochi: il 29% della popolazione residente sul suolo italico. Un calo netto, rispetto al 34% di oggi. L’Italia si urbanizza, non cresce e invecchia, dicono le previsioni statistiche. Chi ci salverà dal declino demografico prossimo venturo? Gli immigrati, gli stranieri che in 14 milioni (da qui al 2065) sceglieranno di vivere, lavorare, istruirsi e fare figli nel Belpaese. I dati degli studiosi dell’Istat hanno suscitato allarme nei palazzi della politica? No, nessuno ne ha discusso. Se le linee programmatiche del governo prossimo venturo in materia di immigrazione sono chiusura delle frontiere e prima gli italiani, meglio di no. E se nel “contratto di governo” al Sud sono dedicate solo cinque righe, è naturale che l’allarme che proviene da quei numeri rimanga inascoltato.
CHE FARE?
Servono politiche pubbliche di rinascita, cioè immigrati: il “modello Riace” studiato dagli atenei di tutto il mondo
IL GRUPPO di studiosi “Rionero 2020” (gli urbanisti Antonio Petrocelli e Marialaura Imbriaco, l’esperto in politiche forestali Ludovico Frate, e lo specialista in politiche ambientali Alfonso Ianiro) ha addirittura calcolato l’anno in cui alcuni comuni si estingueranno per mancanza di abitanti. Sono partiti dal Molise, ma proseguiranno gli studi sul Cilento interno. Però non dite ai 107 abitanti di Castelverrino (provincia di Isernia) che nel 2036 nel loro paese non ci sarà più nessuno. Le case dei vicoli stretti e la piazza con il palazzo baronale saranno divorati dall’erba. Le campane non suoneranno più la domenica. Un deserto. Così a Poggio Sannita (scomparsa prevista nel 2037), a Pescopennaro (2039), fino a trascinarci nel XXII secolo con una vera e propria ecatombe di borghi. Sopravviveranno poche realtà, abitate da soggetti sempre più stanchi e vecchi. Gli studiosi, infatti, prevedono che nell’area analizzata – la zona di Isernia – l’indice di vecchiaia oscillerà tra il 200 e il 600 per cento. Che fare? Anche loro si aggrappano a due speranze: politiche pubbliche di rinascita per il Sud e immissione di energie fresche. Tradotto: immigrati. Il “modello Riace”, per capirci. Quelle politiche di accoglienza e integrazione che hanno rivitalizzato il paese dei Bronzi in provincia di Reggio Calabria, altrimenti destinato a spopolarsi.
Il miracolo ha un nome e cognome ed è studiato in importanti università internazionali: Mimmo Lucano, il sindaco che ha trasformato un’emergenza in un fattore di rinascita e di sviluppo. L’antropologo Vito Teti, ca-
labrese di San Nicola di Cressa (Vibo Valentia), ha una sua ricetta. L’ha raccontata nell’ultimo suo libro edito da Donzelli, Quel che resta. L’Italia dei paesi, tra abbandoni e
ri tor ni, ed è la “r esta nza ”. “Restare non è un fatto di pigrizia, di debolezza: ma di coraggio. Una volta era l’emigrante il simbolo del sacrificio, adesso si sacrifica chi resta. Una volta si partiva per necessità, ma c’era anche una tendenza a fuggire da un ambiente considerato ostile, chiuso, senza futuro. Oggi i giovani colgono la possibilità di opportunità nuove, altri modelli e stili di vita, da praticare in questi luoghi e renderli vivibili. L’altrove non è più un mitico paradiso. La restanza e la sua etica sono una scommessa con se stessi, esprimono una disponibilità a mettersi in gioco e ad accogliere chi viene da fuori”.
C’È UN DI PIÙ che è sotto gli occhi di tutti ma in pochi vedono. Per crescere e fare figli l’Italia ha bisogno di ritrovare la fiducia in se stessa. Nel decennio del boomeconomico del secolo passato, quando il tasso di sviluppo annuo era pari al 4,9 per cento (con punte nell’ultimo periodo del 6,6), la gente spendeva per migliorare la qualità della vita. Si investiva in abitazioni, istruzione, cultura e spettacoli, trasporti e comunicazione. E si facevano figli. Nel 1951 gli italiani erano 47.515.537, dieci anni dopo 50 milioni. Era un Paese capace, pur tra le mille contraddizioni di uno sviluppo che provocò enormi fratture fra Nord e Sud, di guardare al futuro.
I DATI ISTAT
Il declino: nel 2045 gli italiani saranno ben 7 milioni in meno rispetto al 2016 e vivranno quasi tutti al Nord