Arrivano anche i riders di Uber con il McBurger
La contestata azienda dei taxi fai-da-te estende le consegne a tutta l’ Italia Un mercato in crescita dalla entrate sicure, ma tra lotte e rivendicazioni. A Napoli l’alleanza con McDonald’s
In Italia ne avevamo sentito parlare soprattutto perché i riders che hanno partecipato alla fase sperimentale erano scesi in piazza per protestare insieme ai colleghi di Deliveroo e Foodora. Ora, anche Uber prova a estendersi in tutta Italia con le consegne a domicilio: la società del servizio di passaggi che da anni fa infuriare i tassisti cambia obiettivo e punta sui fattorini. Con l’abilità di infilarsi in business promettenti ma controversi, Uber Eats si aggiungerà a Deliveroo, Foodora e Just Eat (e alla loro schiera di riders) per conquistare quote in un mercato a forte espansione e dinamiche lavorative contrastate (il presidente dell’Inps, Tito Boeri, qualche settimana fa, aveva proposto di aumentare il monitoraggio e la tutela della cosiddetta gig economy). La sintesi: presenza nazionale dopo le sperimentazioni a Milano e a Monza, accordo con McDonald’s e l’avvio da Napoli.
IL SERVIZIO di consegna a domicilio di Uber si chiama Uber Eats, è nato nel 2014 a Los Angeles come progetto sperimentale e oggi è presente in 220 città e 32 Paesi. Si basa su una piattaforma di “food delivery” che consente di prenotare e farsi consegnare i pasti ordinati ai ristoranti, utilizzando l’applicazione sul telefono oppure il sito internet. Come faceva per le auto, Uber, quindi, mette in comunicazione il cliente, il ristorante e l’addetto alle consegne.
Dal punto di vista della strategia aziendale, è la scelta più naturale per un’impresa che ha bisogno di recuperare terreno dopo aver abbandonato, una dopo l’altra, tutte le città italiane in cui metteva a disposizione il servizio di trasporto urbano e dopo la chiusura di Uber Pop, che consentiva di offrire passaggi a pagamento nel tempo libero. Complici le sentenze dei tribunali e le proteste dei taxisti, il servizio trasporto di Uber (nella sua forma riservata a chi ha la licenza Ncc) è oggi attivo ancora solo a Roma e a Milano. Il business del trasporto, insomma, è rimasto indietro.
Non si può dire lo stesso per le consegne. Secondo un’analisi Coldiretti/Censis sulla ristorazione digitale, nel 2017 ben 4,1 milioni di italiani si sono affidati ad applicazioni sul- lo smartphone per ordinare cibo e riceverlo a domicilio. Undici milioni, invece, usano regolarmente il telefono per ordinare. Allargando lo sguardo ai numeri globali, si stima che nel 2018 i ricavi del settore della “Food Delivery” ammonteranno a 110 miliardi di dollari. In quattro anni dovrebbero crescere del 17,7% con un volume di mercato di 212 miliardi nel 2022. Il segmento più grande è l’Online Takeaway, con un volume di mercato di 99,6 miliardi di euro nel solo 2018. Un’entrata quasi certa, quindi, che fa da base per rilanci e azzardi visionari come la sperimentazione sui taxi vo- lanti che la settimana scorsa è stata annunciata in Francia. E in Europa? Con Medio Oriente e Africa, il mercato della consegna di cibo raggiunge quota 28 miliardi di dollari.
Dunque, Napoli per prima. Il servizio sarà disponibile ufficialmente da mercoledì, a pranzo e cena. Nella città, Uber ha un accordo in esclusiva per le consegne di McDonald’s (all’interno di una intesa globale), che saranno gratuite per tutto il periodo del lancio. E poi pasticcerie, gelaterie, ristoranti, al momento circa cinquanta, ma con l’obiettivo di aumentare e di sbarcare in una città d’Italia al mese da qui a fine anno. Il modello di business è conosciuto: r ev en ue shares. I ristoranti hanno accordi con Uber, a cui cedono una percentuale dei ricavi. Le consegne costeranno circa 2,50 euro (salvo la gratuità sopra una certa cifra) e i corrieri autonomi saranno pagati per ogni consegna. Diverso il discorso per chi lavora attraverso le società di logistica, che dovrà sottostare ad accordi diversi. Ma, assicurano, ai fattorini non andrà solo il costo della consegna ma anche una parte della revenue shareche Uber passerà al ristorante. L’arrivo di Uber Eats si inserisce comunque in un contesto non proprio idilliaco: i fattorini delle piattaforme digitali sono considerati la categoria di lavoratori più a rischio al momento, privi di tutele e in lotta per veder riconosciute le loro prestazioni come lavoro subordinato.
UBER, d’altro canto, ha bisogno di spingere per rinnovare la propria immagine, conquistare la fiducia degli investitori e per essere pronta a una Ipo (offerta pubblica) sempre più vicina. Sono almeno cento le città in cui è pronto il lancio di Uber Eats. L’azienda ha chiuso il primo trimestre del 2018 con utili per 2,46 miliardi di dollari su ricavi pari a 2,59 miliardi (+70%). Peccato che la tradizione della perdita a oltranza, seppur con un dimezzamento rispetto all’an n o scorso, non sembra essere ancora morta. I profitti hanno infatti beneficiato della cessione di Grabtaxi e della joint venture Yandex, che ha prodotto una plusvalenza da 3 miliardi di dollari al netto delle quali Uber ha chiuso con una perdita di 577 milioni di dollari (erano 1,04 miliardi nel 2017).
NON SOLO FOODORA & C.
I fattorini pagati in base a consegne e accordi con la logistica. All’azienda una percentuale sui ricavi