Il Fatto Quotidiano

SALVATE I TESORI DEL PITTORE MATTO

40 mila euro per le opere di Gino Grimaldi

- » FERRUCCIO SANSA

La

pala dell’altare è dipinta su una tovaglia. Ma a Gino non importava: ogni brandello di tessuto, ogni centimetro di muro andava bene per riversarci colori e immagini. E incubi che aveva dentro. Gino Grimaldi lo diceva: “Io son pittore”, dichiarò al medico nella cartella clinica. Per medici e infermieri era solo un altro matto. Tra chi si credeva santo o imperatore, Gino gridava “sono pittore”. Forse, sì, era anche matto. Ma a inizio ’900 non si andava per il sottile nei manicomi. Basta guardare le cartelle cliniche, 25mila, raccolte nel manicomio genovese di Pratozanin­o che ospitò 3.500 persone. Una città. Rossella fu internata a vent’anni per “disinganno amoroso”. Tanto bastava per entrare, delusioni d’amore, e non uscire mai più. Qui approdò Gino. “Chissà se era matto per davvero – si chiede Daniela Pittaluga, professore­ssa di restauro all’Università di Genova – certo era gay e socialista. Un inferno nel Ventennio”.

Gino ne aveva motivi per impazzire: nato nel 1889 a Isola della Scala (Verona). Povero, poverissim­o. Vagò per l’Italia con la madre. Il padre in manicomio si suicida. Gino gira, studia, frequenta l’ Accademia di Carrara. Ma dentro il male cresce. Ruba, lo arrestano. Non sapendo dove metterlo lo rinchiudon­o in manicomio a Venezia. Al medico Gino racconta: “Come Grimaldi ero un pittore discreto, ma volendo innalzarmi sono diventato Rubens. E poi diventerò Leonardo. Dopo sarò perfetto e potrò aspirare al Nirvana. Io sono buddista”. Entra ed esce dai manicomi; a volte è lui che chiede accoglienz­a. Teme di essere ucciso, forse di uccidersi. Finché si rinchiude qui, a Pratozanin­o. E pittura dodici ore al giorno.

DALLE SUE DITA escono azzurri che neanche il cielo. Rossi più rossi del sangue. Troppo facile ricordare Van Gogh e Ligabue, compagni di sofferenza. No, lui è Gino Grimaldi. E le tovaglie si riempiono di Cristi straziati. I muri della chiesa di Santa Maria Addolorata, nel manicomio, si colorano di angeli e vergini. Il mondo di Gino, dove in dettagli minimi si nascondono messaggi: frasi contro il Duce, paesaggi della guerra di Eritrea invece della Galilea. “Guarda il volto di un bambino”, indica Sara Delfino, custode della chiesa. Sì, nascosto nel vestito di Eva. “Gino non aveva deciso la sua identità. Bambino o adulto, uomo o donna”, spiega Cosimo Schinaia che dell’ospedale psi- chiatrico fu direttore negli anni della legge Basaglia. La chiusura. Il ballo d’addio nel piazzale: matti, medici e infermieri, uniti nella danza.

Ora quell’universo chiuso da muri e grate cade a pezzi: 49 padiglioni tra le colline appese sul mare. In questa meraviglia, che accentua il contrasto, passarono a decine di migliaia. Un mondo a parte, con officine, tipografie, fattorie. E quella chiesa, folle pure lei, con le colonne mozzate, che non scendono fino a terra. Perché i matti non ci si potessero nascondere dietro per strappare, magari, un attimo di intimità, finalmente toccarsi, baciarsi. Qui è l’eredità di Gino (morto in manicomio nel 1941): le pitture murali che l’umidità si sta mangiando. “Perché non sono affreschi, ma semplici pitture a secco”, racconta Pittaluga. Dopo anni di abbandono, grazie a Schinaia, alla Cassa depositi e prestiti (proprietar­ia del complesso) e alle donazioni, sono stati messi in precaria sicurezza. “Ma servono ancora fondi, mica un tesoro, 30-40 mila euro per recuperare quel che resta”, chiede Pittaluga. Meno di quanto costa un’Audi. Per salvare l’arte di Gino e l’altro tesoro: il grande presepe fatto dai matti negli Anni ’60. Non Madonne, buoi e asinelli, ma medici, malati con la camicia di forza, la stanza dell’elettrosho­ck. Tutto in polistirol­o che si sgretola.

Qui, dove – racconta Schinaia – tanti hanno vissuto, sofferto. “Come quel ragazzo che trovai rinchiuso in una stanza vuota, nudo, coperto dei propri escrementi che perfino si mangiava”.

Di tanti che passarono non resta niente. Neppure i nomi. Il cimitero di Pratozanin­o era diviso in due: abitanti e matti, ma sulle loro lapidi non c’erano nemmeno i nomi.

Grandi bellezze Un mondo chiuso in 49 padiglioni tra i colli appesi sul mare Quel ballo d’addio tra medici e pazienti

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 ??  ?? L’affresco Il dettaglio di un’opera di Grimaldi nella chiesa dell’ospedale psichiatri­co di Pratozanin­o
L’affresco Il dettaglio di un’opera di Grimaldi nella chiesa dell’ospedale psichiatri­co di Pratozanin­o
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