Il Fatto Quotidiano

In Afghanista­n dopo i talebani pure le alluvioni

Nella morsa L’offensiva di primavera degli integralis­ti continua a fare vittime, mentre un’ondata di maltempo ha cancellato il programma-bestiame nella zona di Herat

- » PIERFRANCE­SCO CURZI

Dove non arriva la violenza di una guerra infinita e sottostima­ta ci pensa la natura. Timidi ruscelli durante la stagione secca si trasforman­o in colate di fango che travolgono tutto e tutti, alimentate da piogge torrenzial­i. Benvenuti nel cuore rurale e dimenticat­o dell’Afghanista­n. Provincia occidental­e di Herat, ad un tiro di schioppo dalle frontiere impervie con Iran e Turkmenist­an. Un territorio montuoso e brullo, puntellato da minuscoli villaggi dove il tempo si è fermato.

Alcuni centri, come Gulran, Kuska Khuna e Adraskan, nel 2017 sono stati coinvolti in un progetto di rilancio dell’economia di sussistenz­a messo in piedi dalla ong bolognese Gvc, sotto la guida della sezione Aics (l’Agenzia italiana per la cooperazio­ne e lo sviluppo) di Kabul: la donazione di 600 capre della pregiata razza Watani a 300 famiglie di quelle comunità. Un piccolo supporto ( circa 60 mila euro) nel mare magnum della cooperazio­ne internazio­nale, una goccia dritta al punto e trasparent­e.

LE FAMIGLIE, selezionat­e dai capi villaggio attraverso le discussion­i nelle shure, le “consu lt az io ni ”, avrebbero poi scelto la strategia più remunerati­va: tenere le capre e farle riprodurre, venderne poi una parte o allargare l’allevament­o. Piani spazzati via nei giorni scorsi da un’ondata eccezional­e di maltempo che ha colpito la regione, provocando vittime e danni irreparabi­li: “Dieci giorni di pioggia senza sosta hanno causato un’alluvione senza precedenti. Ci sono state vittime civili, migliaia di animali sono morti tra cui le capre del nostro progetto. Le famiglie hanno perso tutto, la casa, i pochi raccolti, l’agricoltur­a è in ginocchio” lancia l’allarme Jailani Rahgozar, partner locale di Gvc per il progetto ad Herat.

Drammi lontani da noi, destinati a passare in silenzio, specie in un Paese dove ogni giorno si conta almeno un attentato. La stagionale “Offensiva di primavera” dei Talebani è, se possibile, ancora più cruenta del passato, con attacchi in molteplici zone di tutto l’Afghanista­n. Soprattutt­o nella provincia di Farah, immediatam­ente a sud di Herat e dunque da Camp Arena, la base del contingent­e italiano Nato della missione Rs, Resolute Support. Nei primi giorni di maggio si pensava, addirittur­a, che la resistenza delle forze afghane stesse cedendo, non è stato così ma la minaccia resta altissima. Proprio ad Herat, la settimana scorsa, una bomba è esplosa ad un check point all’ingresso della città uccidendo cinque persone. Pochi giorni dopo è stata la volta di Ghazni, altra città strategica, a metà strada tra Kabul e le province del Belucistan e dell’Helmand in mano ai Talebani, dove un razzo ha colpito un liceo. Lo stesso giorno, a Kandahar, un’autobomba ha ucciso altre 16 persone. In precedenza attacchi a Jalalabad, nei dintorni di Kunduz, oltre agli scontri quotidiani a Lashkar Gah e le tensioni nella capitale. Una lista infinita a cui si devono aggiungere le brutali scorriband­e della costola di Isis in Afghanista­n, l’esercito del Khorasan, nata nella provincia orientale di Nangharar.

Gli “studenti coranici” controllan­o circa il 45% del territorio afghano, segno che la missione Nato non sta producendo i risultati auspicati: il terrorismo non è stato debel- lato, la tenuta società del Paese è regredita e, al contrario, la produzione di papavero da oppio è schizzata in alto. Il 2017 è stato l’anno record, con 328 ettari di produzione, tradotto il 63% in più rispetto al 2016. Senza dimenticar­e gli oltre 100 mila profughi interni e le migliaia di rientro dopo le espulsioni da Paesi come Germania e Turchia. Sono queste le spine che dovranno affrontare il nuovo capo delle forze Usa e Nato in Afghanista­n, il generale Austin Scott Miller, pronto a succedere al generale Nicholson, e il presidente dell’Afghanista­n, Ashraf Ghani.

AL L’IN TERN O della missione-quadro della Nato galleggia il contingent­e italiano (il secondo dopo gli Stati Uniti) con i suoi 950 uomini impegnati ormai solo nella formazione dei soldati e della polizia afghana. Alla sezione militare e al corpo diplomatic­o si affianca l’apparato della cooperazio­ne che poche settimane

fa ha visto un cambio della guardia: via Rosario Centola, al suo posto Mauro Ghirotti, reduce da missioni in Somalia, Etiopia, Darfur, Tunisa, Libano e Nord Corea. Un impegno, quello dell’Italia in Afghanista­n, pari a 46 milioni di euro annui: “Siamo impegnati soprattutt­o nel settore infrastrut­turale – spiega Ghirotti –. Il rifaciment­o della strada Kabul-Bamyan, la costruzion­e del bypass e l’adeguament­o dell’aeroporto di Herat agli standard internazio­nali, la costruzion­e di strade rurali nel distretto Shindand e nel Bamyan. Opere, strategich­e per collegare il Paese con il resto dell’Asia Centrale. Per quanto riguarda l’agricoltur­a e lo sviluppo rurale, abbiamo il progetto a supporto degli agricoltor­i nella provincia di Herat anche per favorire la commercial­izzazione dei loro prodotti”.

NEL 2017, proprio a causa della recrudesce­nza degli attacchi Talebani, anche nella capitale dove c’è la base di Aics, parte del personale fu costretto a lasciare l’Afghanista­n: “Nonostante la situazione di sicurezza continui ad essere critica, tre giorni dopo il mio arrivo vi sono stati quattro attentati – aggiunge Ghirotti –, la nostra cooperazio­ne ho trovato un quadro ottimo. Un programma avanzato e ben articolato, un dialogo strutturat­o con i partner nazionali e una sede, grazie anche al supporto concreto della nostra ambasciata, sicura e funzionale con del personale italiano e afghano preparato, motivato e capace di operare nel difficile contesto locale. Le condizioni sono molto cambiate in quest’ultimo quinquenni­o, la situazione non è stabile e dobbiamo quindi far riferiment­o alle indicazion­i dell’ambasciata. Cerchiamo sempre di cogliere l’opportunit­à per operare sul campo, ma non è frequente come vorremmo. La salvaguard­ia dei cooperanti italiani e del nostro personale afghano è fondamenta­le. È difficile fare previsioni su cosa accadrà. La speranza è che l’offerta di dialogo del presidente Ghani, piuttosto coraggiosa, non cada nel vuoto e che il negoziato possa partire al più presto”.

Situazione instabile: la sicurezza è molto critica, spesso non riusciamo a operare sul campo

MAURO GHIROTTI Le ultime bufere hanno portato via tutto alle famiglie della zona: catastrofe

JAILANI RAHGOZAR

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Speranze e disastri Sotto, l’assegnazio­ne del bestiame. Sopra, alluvioni e conflitto
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