“Ora impeachment” Di Maio alla guerra contro Mattarella
Non solo Meloni, pure i 5 Stelle parlano di messa in stato d’accusa: cos’è e come funziona il processo al presidente
Che ci si arrivi è difficile, ma ormai se ne parla: la messa in stato d’accusa del presidente della Repubblica è sul tavolo. Giorgia Meloni lo dice apertamente ancor prima del discorso di Sergio Mattarella: “Se questo veto fosse confermato sarebbe evidente che il presidente Mattarella è troppo influenzato dagli interessi delle nazioni straniere e dunque FdI chiederà al Parlamento la sua messa in stato d’accusa per alto tradimento”. Sembrava una boutade, ma dopo il discorso “politico” del capo dello Stato anche dal Movimento 5 Stelle arriva la minaccia dell’i mpeachment: l’Ansa batte la notizia che anche dentro il M5S si valuta l’i mpeac h me n t di Mattarella. Un deputato dell’area dura come Carlo Sibilia lo scrive su Twitter: “Non esiste mandare nel caos il paese per fini ideologici. Credo sia arrivato il momento per #impeachmenta#Mattarella. È una strada obbligata”. D’accordo il senatore Elio Lannutti. Dentro l’universo grillino, infatti, si dà per certo che Mattarella abbia ceduto alle pressioni delle cancellerie europee sul nome di Paolo Savona e in generale sull’atteggiamento del governo nei confronti dell’Ue.
Alle 22, dopo qualche incertezza, arriva Luigi Di Maio: “Se andiamo al voto e vinciamo poi torniamo al Colle e ci dicono che non possiamo andare al governo. Per questo dico che bisogna mettere in Stato di accusa il Presidente. Bisogna parlamentarizzare tutto anche per evitare reazioni della popolazione”. Di Maio, insomma, evoca possibili disordini. Parla in un comizio a Fiumicino, vicino Roma: “Io ho rispettato le promesse, qualcuno non ha rispettato quella di garantire il rispetto della Costituzione”. E infine: “Ora è difficile credere nello Stato e nelle sue leggi”. Matteo Salvini soprassiede per ora: “Impeachment? Ai cavilli penserò domani, ma Mattarella non mi rappresenta: ha rappresentato gli interessi di altri Paesi”.
INSOMMA, la situazione è seria e quindi bisogna chiarire come si procede in questi casi, anche se la strada è stretta: questo Parlamento con ogni probabilità non durerà a lungo ed è in Parlamento che avviene la prima fase del complicato “processo” che porta allo stato d’accusa. Talmente complicato che non è mai stato usato: fu ventilato per Giovanni Leone nel 1978 e Francesco Cossiga nel 1992, entrambi si dimisero poco dopo la richiesta (Cossiga era in scadenza); nel 2014 il M5S presentò per la prima volta una richiesta formale contro Giorgio Napolitano che fu respinta come “infondata”.
La base è l’articolo 90 della Costituzione: “Il presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri”. Quindi le accuse possibili sono “alto tradimento” (accordi con stati nemici, diffusioni di segreti guerra o cose così) o “attentato alla Costituzione” (decisioni che comportino un sostanziale sovvertimento dell’ordinamento costituzionale): in questo caso, insomma, al massimo si può “lavorare” sul secondo.
Se si va al voto e vinciamo poi torniamo al Quirinale e ci dicono che non possiamo andare al governo Per questo bisogna mettere in Stato di accusa il presidente
LUIGI DI MAIO
IL PRIMO ATTO, dopo la presentazione dell’accusa, è l’analisi in una commissione di 10 senatori e 10 deputati che analizza l’accusa e decide se archiviarla o sottoporla al Parlamento in seduta comune: insomma, servono 476 voti per dare il via al processo vero e proprio (anche se è difficile immaginare un presidente che resista alla messa in stato d’accusa da parte delle Camere).
Il giudice, comunque, è un organo terzo: la corte è composta dai 15 componenti della Consulta e da altri 16 membri estratti a sorte dallo speciale “elenco di cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore”. Questi 16 membri, peraltro, scadono con la legislatura, quindi al momento non ci sono e andrebbero eletti col quorum stabilito per i giudici della Consulta: i due terzi dei parlamentari. Oltre ai 31 giudici, partecipano al processo – che è un procedimento penale vero e proprio – anche uno o più commissari d’accusa eletti dal Parlamento: alla fine i giudici emettono la sentenza con cui si dichiara la destituzione del presidente o lo si assolve. La sentenza è inappellabile.