Il Fatto Quotidiano

“Ora impeachmen­t” Di Maio alla guerra contro Mattarella

Non solo Meloni, pure i 5 Stelle parlano di messa in stato d’accusa: cos’è e come funziona il processo al presidente

- » MARCO PALOMBI

Che ci si arrivi è difficile, ma ormai se ne parla: la messa in stato d’accusa del presidente della Repubblica è sul tavolo. Giorgia Meloni lo dice apertament­e ancor prima del discorso di Sergio Mattarella: “Se questo veto fosse confermato sarebbe evidente che il presidente Mattarella è troppo influenzat­o dagli interessi delle nazioni straniere e dunque FdI chiederà al Parlamento la sua messa in stato d’accusa per alto tradimento”. Sembrava una boutade, ma dopo il discorso “politico” del capo dello Stato anche dal Movimento 5 Stelle arriva la minaccia dell’i mpeachment: l’Ansa batte la notizia che anche dentro il M5S si valuta l’i mpeac h me n t di Mattarella. Un deputato dell’area dura come Carlo Sibilia lo scrive su Twitter: “Non esiste mandare nel caos il paese per fini ideologici. Credo sia arrivato il momento per #impeachmen­ta#Mattarella. È una strada obbligata”. D’accordo il senatore Elio Lannutti. Dentro l’universo grillino, infatti, si dà per certo che Mattarella abbia ceduto alle pressioni delle cancelleri­e europee sul nome di Paolo Savona e in generale sull’atteggiame­nto del governo nei confronti dell’Ue.

Alle 22, dopo qualche incertezza, arriva Luigi Di Maio: “Se andiamo al voto e vinciamo poi torniamo al Colle e ci dicono che non possiamo andare al governo. Per questo dico che bisogna mettere in Stato di accusa il Presidente. Bisogna parlamenta­rizzare tutto anche per evitare reazioni della popolazion­e”. Di Maio, insomma, evoca possibili disordini. Parla in un comizio a Fiumicino, vicino Roma: “Io ho rispettato le promesse, qualcuno non ha rispettato quella di garantire il rispetto della Costituzio­ne”. E infine: “Ora è difficile credere nello Stato e nelle sue leggi”. Matteo Salvini soprassied­e per ora: “Impeachmen­t? Ai cavilli penserò domani, ma Mattarella non mi rappresent­a: ha rappresent­ato gli interessi di altri Paesi”.

INSOMMA, la situazione è seria e quindi bisogna chiarire come si procede in questi casi, anche se la strada è stretta: questo Parlamento con ogni probabilit­à non durerà a lungo ed è in Parlamento che avviene la prima fase del complicato “processo” che porta allo stato d’accusa. Talmente complicato che non è mai stato usato: fu ventilato per Giovanni Leone nel 1978 e Francesco Cossiga nel 1992, entrambi si dimisero poco dopo la richiesta (Cossiga era in scadenza); nel 2014 il M5S presentò per la prima volta una richiesta formale contro Giorgio Napolitano che fu respinta come “infondata”.

La base è l’articolo 90 della Costituzio­ne: “Il presidente della Repubblica non è responsabi­le degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzio­ne. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranz­a assoluta dei suoi membri”. Quindi le accuse possibili sono “alto tradimento” (accordi con stati nemici, diffusioni di segreti guerra o cose così) o “attentato alla Costituzio­ne” (decisioni che comportino un sostanzial­e sovvertime­nto dell’ordinament­o costituzio­nale): in questo caso, insomma, al massimo si può “lavorare” sul secondo.

Se si va al voto e vinciamo poi torniamo al Quirinale e ci dicono che non possiamo andare al governo Per questo bisogna mettere in Stato di accusa il presidente

LUIGI DI MAIO

IL PRIMO ATTO, dopo la presentazi­one dell’accusa, è l’analisi in una commission­e di 10 senatori e 10 deputati che analizza l’accusa e decide se archiviarl­a o sottoporla al Parlamento in seduta comune: insomma, servono 476 voti per dare il via al processo vero e proprio (anche se è difficile immaginare un presidente che resista alla messa in stato d’accusa da parte delle Camere).

Il giudice, comunque, è un organo terzo: la corte è composta dai 15 componenti della Consulta e da altri 16 membri estratti a sorte dallo speciale “elenco di cittadini aventi i requisiti per l’eleggibili­tà a senatore”. Questi 16 membri, peraltro, scadono con la legislatur­a, quindi al momento non ci sono e andrebbero eletti col quorum stabilito per i giudici della Consulta: i due terzi dei parlamenta­ri. Oltre ai 31 giudici, partecipan­o al processo – che è un procedimen­to penale vero e proprio – anche uno o più commissari d’accusa eletti dal Parlamento: alla fine i giudici emettono la sentenza con cui si dichiara la destituzio­ne del presidente o lo si assolve. La sentenza è inappellab­ile.

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Ansa Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato eletto nel 2015

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