Riflessioni di una giornata con senso diffuso di calamità
Due anni di giunta Raggi Il 19 giugno 2016 la candidata del M5S trionfava al ballottaggio In 24 mesi sono ancora troppi e si aggravano i problemi che affliggono la città e i suoi abitanti
Ilbus che va a fuoco in via del Tritone e il miracolo di una tragedia sfiorata. Il centro storico paralizzato fino a sera. L’acquazzone che, come sempre sotto questo cielo e su queste strade, rende il disagio insopportabile. Un senso diffuso di calamità. Io quel giorno ho avuto molto tempo per riflettere. Bloccato a piazza Colonna, con i taxi incolonnati senza via d’uscita – e con i bus scampati ai roghi (68 quelli già bruciati, ho letto) scomparsi forse per evitare guai peggiori – non mi restò che affidarmi alle gambe per raggiungere la non vicinissima sede del
Fatto a Porta Metronia.
PASSEGGIATA DI SALUTE durante la quale – e qui torno a Lei – mi frullavano nella testa oscuri pensieri sulla condizione della nostra amata città. Che in certi giorni sembra afflitta da tutte le bibliche piaghe (più qualcun’altra in offerta sfiga). Poi, però, in chi le scrive prese il sopravvento il pensiero di come male dovesse sentirsi la giovane donna che solo due anni prima veniva innalzata sul Campidoglio dall’onda del plebiscito di rabbia contro tutto ciò che c’era stato prima. Per poi ritrovarsi sull’orlo di quella gigantesca buca (senza allusioni) da dove la vecchia politica cerca di afferrare quella nuova per trasci- narla giù con sè all’inferno. Ed è successo che la percezione del suo disagio ha reso meno pungente il mio. Giovedì scorso l’ho vista a Piazzapulita. In gran forma, brillante, ottimista. Complimenti. Nei suoi occhi si leggeva la stessa orgogliosa soddisfazione per lo stato eccellente della città e dei suoi abitanti di un sindaco di Parigi o di Berlino o di New York. E nel ripensare – le confesso piuttosto sconcertato – a quel martedì nero di acqua e di fuoco mi sono detto: forse fui preda di un incubo. Forse, accecato dalla propaganda delle forze della corruzione in agguato (oltre che dallo spiacevole episodio di combustione urbana) non mi resi conto della metamorfosi. Di come dal letame lasciato da “quelli” nell’Urbe stesse fiorendo un nuovo giardino dell’Eden. Con i cassonetti non più olezzanti che sorridono all’Ama laboriosa mentre alberi e rami partecipano alla festa della Resurrezione scendendo a terra con festosi frastuoni.
Non ironizzo affatto, mi creda, sui progressi che la sua amministrazione può vantare in tema di appalti pubblici, o di risanamento Atac, o di strutture sportive (lo stadio della Roma, l’area del Velodromo adibita a campo di golf). Pur tuttavia, nell’ascoltarla misuravo una distanza molto, troppo grande tra la percezione del sindaco e quella di un comune cittadino. Dov’era l’errore? Il giorno dopo ho capito tutto. Posso dirle luogo e momento della Rivelazio- ne: in auto, all’Eur, percorrendo una via dal manto stradale appena rifatto. Ma ecco che, improvvisamente, sbang, una ruota sprofonda dentro un rattoppo illusorio di fresco bitume (la vasta popolarità della sua giunta tra meccanici e gommisti, sappia, è indiscutibile). Smoccolo ma vengo illuminato da una parola chiave emersa chissà come da vetuste reminiscenze liceali: ATARASSIA.
NE CERCOl’esatto significato e trovo: “Perfetta pace dell’anima che nasce dalla liberazione dalle passioni”. Un rifugio mentale dal caos della vita. Una filosofia dell’evasione interiore. Una provvida liberazione dello spirito. Mi permetta di chiederle se di fronte all’immensità dei problemi, agli umani limiti di assessori e funzionari (e ai bus inceneriti) anche Lei, sindaca Raggi, abbia cercato asilo nellar assicurante dimensione dell’ atarassia (che è l’esatto contrario del “marasma”). Se sì, se le sue apparizione televisive rispondono a questo bisogno di trovare qualcosa di accettabile in quella tormentosa fatica di Sisifo che è il governo di Roma sappia che la comprendo perfettamente.
E le prometto che al prossimo infrangersi di un cerchione cercherò conforto nella filosofia stoica. Si appunti questa: “Un timoniere di valore continua a navigare anche con la vela a brandelli” (Seneca). E questa, più recente: “La rassegnazione è un suicidio quotidiano” (Balzac). Con stima immutata.