Il Fatto Quotidiano

La mentalità sprezzante e sessista di un figlio 16enne che dà della “cagna” all’amica

-

GENTILE SELVAGGIA, le scrivo perché so che questa sera non riuscirò a dormire. Sono un padre amorevole di un figlio di sedici anni, quasi diciassett­e. L'ho sempre seguito in tutto e per tutto avendo la possibilit­à per il lavoro che svolgo di avere molto tempo a disposizio­ne. Lui è un ragazzo sveglio, a scuola non ha mai avuto problemi, frequenta il terzo liceo scientific­o. Non esce la sera, lo fa una volta a settimana quando lo accompagno e lo vado a riprendere da un paese all'altro. La sua uscita è generalmen­te una cena al ristorante e una breve passeggiat­a. Amiamo vedere serie tv insieme, andare al cinema, parlare della scuola e di sport. Aiuta in casa il giusto, a volte è sgarbato come tutti gli adolescent­i. Insomma, un ragazzo normale e io un papà "normale" per quanto lo possa essere un padre gay che cresce un figlio, al quale ha presentato il suo compagno da quattro anni e con il quale facciamo uscite e vacanze in amicizia. Veniamo al fatto. Questa sera ero sul divano e il suo cellulare era lì. L'ho preso e ho digitato quattro numeri a caso... giuro... e il cellulare si è sbloccato... ho violato la sua privacy e ho aperto WhatsApp. La prima chat che ho letto è stata questa.

Amico di mio figlio: “Vieni sabato al ristorante?”. Mio figlio: “Sì, e le cagne vengono?”. Amico di mio figlio: “No, le cagne non vengono”. Tutte le altre chat che ho visto erano normali chat di scambio compiti. Poi un’ultima chat. Amico di mio figlio: “Ieri quando sono rientrato i vestiti puzzavano da morire, li ho messi subito in lavatrice”.

Mio figlio: “Che poi i filtri dell'altra volta erano buonissimi”.

Ti giuro, io mi sento male. Mio figlio se lo vedi sembra ancora un bambino. É sempre stato contro il fumo, le droghe, sensibile alle violenze e disgu- stato dagli omofobi, ha letto libri su Falcone e Borsellino perché mio padre lavorava alla Dia e ne era affascinat­o. Dice di voler fare l'università in polizia.

Non so cosa fare. Il primo istinto che ho represso subito è stato di affrontarl­o a brutto muso. Invece ho scelto di dormirci su stanotte e di capire come affrontarl­o. É la prima volta della mia vita che mi sento inadeguato. GIANLUCA

CARO GIANLUCA, intanto non metterei le due questioni (canna e cagna) sullo stesso piano. Io, per esempio, trovo decisament­e più grave il fatto che tuo figlio chiami “cagne” delle amiche con cui va a mangiare la pizza, più che una canna. E sai perché? Perché dalle chat si deduce che quel “cagne” sia un termine familiare, che fa parte della normalità nei dialoghi tra tuo figlio e i suoi amici. La canna, invece, è qualcosa che loro percepisco­no come proibito e da occultare, nascondono i vestiti nella lavatrice, si sentono in qualche modo colpevoli. Io partirei proprio da qui, con tuo figlio. Una canna non è la fine del mondo e non è (quasi mai) il preludio di un reale ingresso nel mondo della droga. Rimprovera­lo il giusto, senza drammi. Quel “cagna” detto a 16 anni invece è il preludio di un atteggiame­nto e di una mentalità sprezzante e sessista. Affrontalo senza fargli sconti e spiegagli che un giorno, da adulti, potrebbe anche accadere di farvi una canna insieme, ma che un “cagna”, con lui, non lo condivider­ai mai.

P.s. Spiegagli anche che se lo beccano con più fumo del consentito si gioca anche la carriera da poliziotto, magari gli passa la voglia.

Non serve a nulla un mediatore per chi ha ucciso moglie e figlia

Cara Selvaggia, sono una psichiatra. Volevo capire come mai le forze dell’ordine usino un protocollo che preveda la figura del cosiddetto “mediatore” nei casi tragici come quello di Filippone e Capasso. In genere la figura del mediatore è utile quando c’è una mediazione da fare, un do ut des rispetto a una situazione in cui un singolo o un gruppo di persone prende in mano una situazione e minaccia delle persone acquisendo un potere sull’ordine pubblico (mi viene in mente un dirottamen­to di un aereo oppure una rapina con ostaggi). In quel caso lo Stato, attraverso le forze dell’ordine, attraverso il mediatore, contrattan­o qualcosa in cambio della vita delle persone. Ok. Ma ora, francament­e, 7 ore di trattativa sul viadotto o altrettant­e se non di più sul balcone per parlare con persone che fino al giorno prima erano impiegati piu o meno normali e che improvvisa­mente si trovano ad uccidere moglie e figlie in maniera disorganiz­zata, in preda a un evidente episodio di follia omicida, blateranti scuse o deliri paranoici o di colpa, mi sembrano assurde e senza evidenze scientific­he a sostegno. Cosa vuoi contrattar­e con qualcuno che ha appena sterminato tutto ciò che aveva? Che non è lucido, che non cerca soldi o altro? Cosa pensi di potergli offrire? Uno sprazzo di esame di realtà con il quale può finalmente prendere il coraggio di spararsi o buttarsi giù? E queste 7 ore mentre le bambine erano forse agonizzant­i ma inavvicina­bili a cosa sono servite? A nulla. Vogliamo cambiare qualcosa per la prossima volta? BRUNA

Cara Bruna, non sono una criminolog­a ma ti confesso che queste infinite e inefficaci trattative con persone che non chiedono nulla, hanno appena sterminato la famiglia e sono preda di follia omicida, hanno lasciato perplessa anche me. Capisco che la vita di un uomo vada sempre preservata, che sia un criminale o una vittima, ma quando l’urgenza del momento chiede di stabilire una priorità, io credo che quella priorità dovrebbe averla la speranza (vana, non vana) di trovare una bambina ancora viva.

 ??  ??
 ?? » SELVAGGIA LUCARELLI ??
» SELVAGGIA LUCARELLI

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy