Liverpool Il portiere verrà perdonato: c’è dignità anche nelle sconfitte epiche
UNA CANZONE CHE CERCA il chiarore della luna parla di “Notte scura, notte senza la sera, notte impotente, notte guerriera”. Questa e altre saranno le notti, insonni, di un portiere che non sta dannatamente riuscendo a capire cosa sia successo a quelle sue mani che tutto avrebbero voluto fare meno che toccare palloni da spedire non fuori dalla porta ma dentro. Il suo giovane curriculum lo descrive “portiere agile e reattivo... grande senso della posizione... efficace nelle uscite... garanzia e autorevolezza nel reparto difensivo”. Lui lo sa e non si dà pace. La sua squadra, se proprio doveva anche perdere, poteva sceglierlo in mille maniere. Ma non dalle sue mani. Su’, ragazzo dal nome latino che ti elegge a “prediletto”, presto il modo di rifarti arriverà. Anche l'invincibile Ursus era fin troppo buono e distratto, a volte. Vedrai, “con altre mani, le tue” come dice quella canzone di prima, riuscirai a rivalerti, ad afferrare palloni come nessuno, a stravincere come tanti che sono poi diventati così famosi da far dimenticare le “non” parate peggiori della loro carriera. Forza, caro Loris Karius. L'altra sera tutto il mondo in tv ti ha voluto un bene pazzo e ti ha portato nel cuore. Unpallone a forma di luna chiara ci sarà, bello come un sole tutto per te, per illuminarti il sorriso girando per Liverpool. GIANNI BASI
CARO GIANNI, se il portiere è la figura calcistica più raccontata in letteratura, un motivo ci sarà: l’estremo difensore, l’uomo solo per definizione, il numero uno con la maglia diversa per cui non valgono le stesse regole di tutti gli altri... Se sbaglia lui – va da sé – non c’è rimedio. Ne sapeva qualcosa Moacir Barbosa, il portiere del Brasile 1950, protagonista – suo malgrado – del “Maracanazo”, la clamorosa sconfitta dei verdeoro nella finalissima contro l’Uruguay davanti ai 200 mila del Maracana. Moacir fu ritenuto responsabile del secondo gol di Ghiggia che costò ai padroni di casa la Coppa Rimet. Dallo stigma di essere il responsabile della disfatta Barbosa non si liberò mai. Non sarà que- sto, per fortuna, il destino dello sciagurato Karius. Certo la notte di Kiev la sognerà per molto tempo, ma il bello di un rito collettivo e popolare come il calcio è che si possono trasformare le sconfitte epiche in ricordi preziosi. Non c’è nulla di più noioso di quelle squadre (e di quei tifosi) per cui non vincere (sempre) equivale a un fallimento. Passerà un po’ di tempo ma arriverà il giorno in cui a Liverpool – dopo le maledizioni di rito – alzeranno le pinte anche alla salute di Karius. Perché suo malgrado il povero Loris ha regalato qualcosa di unico: perdere una finale di Champions in modo irripetibile. C’è dignità nelle sconfitte epiche.
Ps. dichiaro il mio conflitto di interessi. Tifo per una squadra gloriosa come poche ma non molto abituata – usiamo un eufemismo – alle vittorie. Le epiche sconfitte, invece, non sono mancate. STEFANO CASELLI