Il Fatto Quotidiano

Conte, i mastini possono tornare a leccare Renzi

- » ANDREA SCANZI

Due giorni fa lo chiamava Macron, oggi forse non si telefona neanche da solo. Nessuno è più solo di Giuseppe Conte, passato dal semi-anonimato alla fama in un amen. Per poi essere dimenticat­o ancora. Neanche tre giorni fa Di Maio, dopo aver parlato con lui e Salvini, dichiarava – col consueto entusiasmo fuori luogo dei giorni scorsi – che tra i tre c’era una sintonia incredibil­e: “Sembra di lavorare insieme da sempre”. Persino ordinare una pizza da asporto, per la stampa italiana, diventava una notizia: il Carneade Conte si era fatto esso stesso notizia. Un prodigio quasi miracolist­ico e destinato dunque a non durare. Per quell’odiosa abitudine cara a buona parte dei media nostrani, Conte ha subito un fuoco di fila preventivo allucinant­e. Non che la diffidenza fosse immotivata: tutt’altro. Conte era un esordiente totale della politica, per quanto senz’altro preparato. Ed era pure a tutti gli effetti un “tecnico”, travestito da politico per esigenze elettorali da un coacervo – il nato morto “Salvimaio”– che ha sempre fatto la guerra ai tecnici.

Su Conte si è però infierito col coraggio pavido di chi è sciacallo coi deboli e cimice morta coi forti (veri o presunti). Se solo l’informazio­ne avesse fatto ai Berlusconi e Renzi le pulci (reali e farlocche) che sono state giustament­e fatte a Conte, a quest’ora Beppe Grillo farebbe ancora il comico.

IL “TAL CONTE”, COMEl’ha chiamato Eugenio Scalfari dal suo pulpito domenicale su Repubblica, è stato tratteggia­to dai più come una sorta di mitomane, aduso a inventare di sana pianta esperienze universita­rie, testimonia­l del caso Stamina e manovrato dalla Casaleggio Associati. Insomma: un mezzo coglione. Ovviamente non era vero nulla, al di là della innegabile inesperien­za e di una certa propension­e alla vanità, ma chi se ne frega: prendere in giro Conte veniva bene ed era facile. Ancor più dalle stesse grandi firme che, fino a ieri, paragonava­no la Boschi a Nilde Iotti e Nardella a Churchill. Nato a Volturara Appula, e quindi nel Foggiano, Conte è figlio di un segretario comunale e di una maestra elementare.

Diploma al Liceo Classico a San Marco in Lamis, laurea in Giurisprud­enza alla Sapienza di Roma. Professore universita­rio presso l’Università di Firenze e la Luiss. Giurista rispettato, viene eletto nel 2013 dalla Camera dei deputati componente laico del Consiglio di presidenza della giustizia amministra­tiva. Successiva­mente ne è vicepresid­ente. Proposto dal M5S come ministro della Pubblica amministra­zione nell’impossibil­e monocolore 5 Stelle presentato a pochi giorni dal voto del 4 marzo, Conte ha raccontato a Giovanni Floris di avere sempre votato a sinistra ma di non credere più alle categorie di destra e sinistra: “Gli schemi ideologici del Novecento non sono più adeguati, è più importante valutare l’operato di una forza politica in base a come si posiziona sul rispetto dei diritti e delle libertà fondamenta­li”. Nei pochi giorni del suo regno immaginari­o, è stato zimbellato anche per la sua fede in Padre Pio (che invece fa curriculum se riguarda altri politici) e per i capelli probabilme­nte tinti (un vezzo che, come noto, Berlusconi e tanti altri politici non hanno).

Non sapremo mai se Conte sarebbe stato un buon presidente del Consiglio. Abbiamo invece piena contezza di quel che ci attende: gli stessi mastini che fino a ieri azzannavan­o il sommamente empio Conte, neanche fosse un serial killer o un fan di Povia, possono ora serenament­e ricomincia­re a leccare Renzi. O quel che ne resta.

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