VIGILANZA ANCHE SULLA COSTITUZIONE?
Si erge a Pontefice dell’economia, per coprire il conflitto d’interessi nelle crisi degli istituti
Ignazio Visco si sente vincitore e da vincitore parla. Come Brenno, dice “guai ai vinti” e getta la sua spada sulla bilancia di una contesa politica che, Costituzione alla mano, non lo riguarderebbe: “Non sono le regole europee il nostro vincolo, è la logica economica”. C’è quindi una scienza, come tale “non democratica” (secondo la massima del professor Burioni), a guidare i nostri destini. E la Banca d’Italia è il tempio dove il governatore e i suoi adepti, detentori esclusivi del sapere tecnico, praticano i loro esperimenti esoterici a spese, se va male, di elettori, contribuenti, risparmiatori e lavoratori.
È utile avere chiaro che non siamo 60 milioni di economisti come non siamo 60 milioni di costituzionalisti. Però – anche ammesso che l’economia sia una scienza, pur essendo esclusa dal metodo sperimentale – il governatore non è l’unico economista e non è neanche il Pontefice dell’economia. Si può anche condividere la sua difesa della legge Fornero e il suo timore per un terapia a base di deficit statale. Ma, visto che si parla di Costituzione, la politica economica la decide il Parlamento e non Palazzo Koch.
Ieri invece Visco si è permesso, per la prima volta nella storia delle Considerazioni finali, un discorso tutto politico in cui ha troppo frettolosamente dettato allo spaesato Carlo Cottarelli un programma di governo opposto al minestrone gialloverde (con maggioranza parlamentare).
La veronica di Visco lascia esterrefatti e anche un po’ ammirati. I partiti che oggi si scannano nella crisi istituzionale (M5S, Pd e Lega) su una cosa sola si sono trovati d'accordo negli ultimi dodici mesi: la richiesta al presidente Sergio Mattarella di mandare a casa il governatore, accusato di essere il principale colpevole della crisi bancaria e del conseguente dissanguamento dei risparmiatori. Mattarella, in nome della stabilità istituzionale, gli ha dato un nuovo mandato di sei anni. Poi ci hanno pensato il duca di Rignano e la principessa dell’Etruria, con i loro autogol, a regalargli il ruolo di grande accusatore nella commissione d’inchiesta sulle banche, proprio mentre emergevano anni di errori gravissimi della vigilanza bancaria. A completargli il lavoro ha infine provveduto il presuntuoso dilettantismo di Luigi Di Maio e del suo candidato premier Giuseppe Conte, che sono caduti nella trappola tesa da un politico ben più scafato di loro come Matteo Salvini. Cosicché ieri Visco ha potuto sbattere in faccia ai critici il più ottuso e rigoroso silenzio. Non una parola sulla Commissione d’inchiesta dalla quale l’autorevolezza della Banca d’Italia è uscita a pezzi.
È ormai evidente che il nieta Paolo Savona non è stato determinato dalle sue complesse idee sull’euro ma da quelle ben più semplici e abrasive sulla Banca d’Italia. Leggasi il quasi ovvio teorema secondo cui “la vigilanza sulle banche e la risoluzione delle crisi non potevano essere esercitate dalla stessa istituzione”. Un ministro dell’Economia che avesse puntato il dito su questo gigantesco “conflitto d'interessi” del governatore avrebbe rappresentato un’insidia insopportabile per il sereno proseguimento del tran tran burocratico di Palazzo Koch, un pericolo molto più concreto delle fantasie sull’improvvisa uscita dall’euro di venerdì sera, all’ora dell’aperitivo. Infatti Conte ha raccontato attonito che, molto più di Mattarella, è stato Visco a intimargli il vade retro per l'economista di Cagliari. Però non ha detto che cosa gli ha risposto. Forse niente. C’è solo da sperare che il trionfo di ieri non si riveli a breve per Visco una vittoria di Pirro.
Twitter@giorgiomeletti
Il niet a Savona non è stato determinato dalle sue idee sull’euro ma da quelle ben più semplici e abrasive su Palazzo Koch