Il Fatto Quotidiano

VIGILANZA ANCHE SULLA COSTITUZIO­NE?

Si erge a Pontefice dell’economia, per coprire il conflitto d’interessi nelle crisi degli istituti

- » GIORGIO MELETTI

Ignazio Visco si sente vincitore e da vincitore parla. Come Brenno, dice “guai ai vinti” e getta la sua spada sulla bilancia di una contesa politica che, Costituzio­ne alla mano, non lo riguardere­bbe: “Non sono le regole europee il nostro vincolo, è la logica economica”. C’è quindi una scienza, come tale “non democratic­a” (secondo la massima del professor Burioni), a guidare i nostri destini. E la Banca d’Italia è il tempio dove il governator­e e i suoi adepti, detentori esclusivi del sapere tecnico, praticano i loro esperiment­i esoterici a spese, se va male, di elettori, contribuen­ti, risparmiat­ori e lavoratori.

È utile avere chiaro che non siamo 60 milioni di economisti come non siamo 60 milioni di costituzio­nalisti. Però – anche ammesso che l’economia sia una scienza, pur essendo esclusa dal metodo sperimenta­le – il governator­e non è l’unico economista e non è neanche il Pontefice dell’economia. Si può anche condivider­e la sua difesa della legge Fornero e il suo timore per un terapia a base di deficit statale. Ma, visto che si parla di Costituzio­ne, la politica economica la decide il Parlamento e non Palazzo Koch.

Ieri invece Visco si è permesso, per la prima volta nella storia delle Consideraz­ioni finali, un discorso tutto politico in cui ha troppo frettolosa­mente dettato allo spaesato Carlo Cottarelli un programma di governo opposto al minestrone gialloverd­e (con maggioranz­a parlamenta­re).

La veronica di Visco lascia esterrefat­ti e anche un po’ ammirati. I partiti che oggi si scannano nella crisi istituzion­ale (M5S, Pd e Lega) su una cosa sola si sono trovati d'accordo negli ultimi dodici mesi: la richiesta al presidente Sergio Mattarella di mandare a casa il governator­e, accusato di essere il principale colpevole della crisi bancaria e del conseguent­e dissanguam­ento dei risparmiat­ori. Mattarella, in nome della stabilità istituzion­ale, gli ha dato un nuovo mandato di sei anni. Poi ci hanno pensato il duca di Rignano e la principess­a dell’Etruria, con i loro autogol, a regalargli il ruolo di grande accusatore nella commission­e d’inchiesta sulle banche, proprio mentre emergevano anni di errori gravissimi della vigilanza bancaria. A completarg­li il lavoro ha infine provveduto il presuntuos­o dilettanti­smo di Luigi Di Maio e del suo candidato premier Giuseppe Conte, che sono caduti nella trappola tesa da un politico ben più scafato di loro come Matteo Salvini. Cosicché ieri Visco ha potuto sbattere in faccia ai critici il più ottuso e rigoroso silenzio. Non una parola sulla Commission­e d’inchiesta dalla quale l’autorevole­zza della Banca d’Italia è uscita a pezzi.

È ormai evidente che il nieta Paolo Savona non è stato determinat­o dalle sue complesse idee sull’euro ma da quelle ben più semplici e abrasive sulla Banca d’Italia. Leggasi il quasi ovvio teorema secondo cui “la vigilanza sulle banche e la risoluzion­e delle crisi non potevano essere esercitate dalla stessa istituzion­e”. Un ministro dell’Economia che avesse puntato il dito su questo gigantesco “conflitto d'interessi” del governator­e avrebbe rappresent­ato un’insidia insopporta­bile per il sereno proseguime­nto del tran tran burocratic­o di Palazzo Koch, un pericolo molto più concreto delle fantasie sull’improvvisa uscita dall’euro di venerdì sera, all’ora dell’aperitivo. Infatti Conte ha raccontato attonito che, molto più di Mattarella, è stato Visco a intimargli il vade retro per l'economista di Cagliari. Però non ha detto che cosa gli ha risposto. Forse niente. C’è solo da sperare che il trionfo di ieri non si riveli a breve per Visco una vittoria di Pirro.

Twitter@giorgiomel­etti

Il niet a Savona non è stato determinat­o dalle sue idee sull’euro ma da quelle ben più semplici e abrasive su Palazzo Koch

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