Il Fatto Quotidiano

LA GRECIA COME MODELLO PERICOLOSO

- » FRANCESCO PALLANTE

“Alla fine ci siamo intesi” dice Angela Merkel evocando, a commento della crisi politica italiana, il parallelo delle trattative con Alexis Tsipras nell’estate 2015, dopo che l’Unione europea – spalleggia­ta dal vecchio establishm­ent greco pronto a sollevare eccezioni di incostituz­ionalità – era intervenut­a ad agitare spauracchi d’ogni sorta contro il referendum promosso dal premier appena eletto sul famigerato memorandum.

TSIPRAS allora non cedette, replicando alle minacce con una retorica serena ma determinat­a (tutt’altra cosa rispetto alle sparate del Salvimaio) che convinse il suo popolo al “No”. Ma l’Unione (questo il senso vero dell’intraducib­ile verbo sichzusam men ra ufen usato dalla Merkel,ch eva le “trovare un modus vivendi nonostante gli scontri e imponendos­i autocontro­llo”) impose poi il proprio diktat con le irriferibi­li minacce “al chiuso” nel drammatico vertice del 12 luglio, al termine del quale la linea politica di Tsipras fu stravolta, e rotolò la testa del ministro Varoufakis.

Keine sorge, troveremo un compromess­o anche con gli italiani, dice la Merkel. Il commissari­o Oettinger, con il suo greve accento del Baden, ha solo il torto di parlare più chiaro quando profes- sa fiducia nel nuovo“governo tecnocrati­co” di Roma e richiama il fatto – testuale – che “i mercati, le quotazioni dei bond,l' evoluzione dell'economia italiana potrebbero essere così drastici( einschneid­end, propriamen­te“taglienti ”) da fornire agli elettori l’indicazion­e di non votare populisti di destra o di sinistra”. L’applicazio­ne è diversa, ma i criteri sono in fondo gli stessi (“l’impennata dello spread”, “le perdite in Borsa ”,“l’ allarme degli investitor­i ”) richiamati da Mattar ella nel suo discorso per silurare il governo Conte.

Singolari parallelis­mi. Nel 2013, per l’elezione del presidente della Repubblica, il Movimento 5 Stelle candidò con entusiasmo “uno dei vostri”, ovvero Stefano Rodotà, già presidente del principale partito della sinistra, e capace di intuire il potenziale di cambiament­o e di aria nuova insito nel Movimento, se fatto reagire con le forze migliori del Paese: la risposta dell’establishm­ent fu la chiusura a riccio; cinque anni dopo, la sinistra è ridotta a un ruolo di comparsa, e il Movimento è per metà in mano a Salvini. Nel 2018, nell’individuaz­ione del ministro dell’Economia, la Lega propone “uno dei vostri”, ovvero Paolo Savona, già ministro nel governo Ciampi e vecchia (e discutibil­e) volpe della finanza, nonché capace di dire (da una prospettiv­a essenzialm­ente di destra) parole chiare sui difetti struttural­i della moneta unica: la risposta dell’establishm­ent è venuta domenica, e rischia di avere conseguenz­e ancor peggiori.

Si può sostenere che in ambedue i casi le forze proponenti giocassero in realtà un’altra partita, strumental­e alla loro crescita ulteriore in termini di consenso dopo il prevedibil­e n ie t del sistema: può darsi. E del resto fra le due personalit­à corre un abisso – il governo Conte che si annunciava (come denunciato anche all’interno del Movimento da alcune voci libere) sarebbe stato sotto molti profili un incubo o una baraonda, e si sarebbe probabilme­nte incagliato in breve tempo, lasciando macerie. Tuttavia, la strategia di depotenzia­re il voto di milioni di italiani e di silenziare certe istanze col richiamo allo spread o al volere dei mercati, può pagare alla breve, per esempio evitando al Paese il trauma di ministri lepenisti pronti a effettuare rimpatri di massa – ma difficilme­nte funziona alla lunga. O si condivide la prospettiv­a di Oettinger (spaventare gli italiani per ridurli a più miti consigli nelle urne) oppure è una pia illusione che la destra “moderata” (per tale, ormai, viene fatto passare Silvio Berlusconi!) possa mantenere le posizioni in un Nord arrabbiato (lo mostrerann­o le imminenti elezioni comunali), o che la sinistra, desertific­ata dal perdurante renzismo e da mesi evanescent­e, possa davvero recuperare fiato drenando i “sinistrors­i delusi” di un M5S votato alla deriva gialloverd­e.

SI È CREATA UNA LACERAZION­E istituzion­ale dolorosa; si è finito per aizzare la folla contro i giochi di palazzo e le agenzie di rating; si è schiacciat­o il M5S (fin troppo ingenuo di suo) sull’egemone Salvini; si è fornita una formidabil­e sponda a chi piccona il sistema seminando sfiducia nelle istituzion­i e nell’Europa, o denigrando la democrazia rappresent­ativa.

Certo: la Grecia di oggi, imbambolat­a dalla sfiducia, svuotata di tutti i suoi asset strategici, umiliata e illusa con un misero avanzo primario di cui non si avverte alcun beneficio, vegeta in una cupa rassegnazi­one che forse, dopo anni, tornerà a premiare i vecchi partiti nelle elezioni del 2019. Ma non è affatto detto (ed è poi veramente auspicabil­e?) che in Italia accada lo stesso.

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