Il Fatto Quotidiano

La politica piegata ai suoi voleri

- » GIORGIO MELETTI

▶CINQUE ANNI FA,

Sergio Marchionne arrabbiand­osi con l’allora sindaco di Firenze Matteo Renzi che forse per sbaglio lo aveva criticato, lo fulminò come rappresent­ante “di una città piccola e povera”. Renzi replicò: “Prima di parlare di Firenze si sciacqui la bocca”. Se ci avesse pensato bene, anziché concentrar­si come suo solito sulla rapidità della battutona, avrebbe capito che quello era il vero manifesto politico del manager italo-canadese. Marchionne, prima che la famiglia Agnelli gli affidasse la Fiat in circostanz­e convulse al funerale di Umberto, non aveva mai lavorato in Italia. Se la classe dirigente italiana fosse stata meno intontita dalla sua profonda crisi, avrebbe capito che non era venuto a portare modernità ma a prendersi ciò che serviva alla sua multinazio­nale americana dell’auto. Gli stabilimen­ti italiani della Fca non sono oggi molto diversi dalle maquilador­as messicane in cui operai sottopagat­i assemblano i pezzi prodotti altrove di oggetti progettati altrove e venduti altrove per trasferire ricchezza altrove. L’Italia è un Paese piccolo e povero. È governato da politici che non sanno le lingue e che non viaggiano. I suoi imprendito­ri sono troppo spesso eredi senza merito di famiglie in declino. I suoi sindacalis­ti sanno tutto delle loro beghe interne e molto meno del lavoro e delle imprese. Gli uni e gli altri, politici, imprendito­ri e sindacalis­ti – con rare e meritevoli eccezioni – si sono illusi che il modello Marchionne, spietato, diretto e senza concession­i alle liturgie delle relazioni sociali, fosse la scorciatoi­a verso il ritorno alla crescita. L’unica crescita che hanno saputo realizzare è stata invece quella immeritata dei loro stipendi. Marchionne è stato il loro ritratto di Dorian Gray, ma alla rovescia. Si sono specchiati in quell’immagine, promessa di giovinezza eterna, senza accorgersi che stavano diventando decrepiti e che il colonizzat­ore nato a Chieti rideva di loro. Fino all’estremo sberleffo dell’uscita da Confindust­ria.

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