“Così Parigi incorona il generale Haftar”
“Una beffa per l’Italia, ma il piano francese limiterebbe comunque gli sbarchi”
Roberto
Aliboni, esperto dell’Istituto per gli Affari Internazionali di Roma, qual è il piano di Macron? Rafforzare ulteriormente il suo alleato Haftar, blindarlo. Proverà dunque a ridimensionare i vari attori che in Libia imbastiscono le loro relazioni nel quadro del piano dell’Onu. Perciò la Francia ha tutto l’interesse ad accelerare il percorso verso le elezioni.
E le conseguenze?
Indebolisce la posizione del governo italiano, perché indebolisce i nostri referenti, primo fra tutti al-Sarraj. La città di Misurata, interlocutore importante dell’Italia, è uscita di scena, senza poter più rivendicare un ruolo per i non cirenaici. Anche Saleh, la cui Camera a Tobrouk termina il mandato il 4 agosto, è un punto di riferimento non saldo rispetto al generale Haftar.
Il generale è tornato fisicamente in Cirenaica dopo il giallo riguardo alla malattia: il suo potere rimane intatto? Il solo fatto che sia mancato dalla Libia e che si sia potuto ipotizzare lo scenario della sua scomparsa, ne ha rivelato debolezze intrinseche. Tra i Paesi che lo sostengono – Francia, Egitto, Emirati Arabi e Arabia saudita, sono cominciate a emergere alcune incertezze. In particolare le milizie salafite che hanno sostenuto fino a oggi Haftar, vicine all’Arabia appunto, sono molto meno fedeli di quanto si potrebbe credere.
Il tema che tocca di più l’opinione pubblica italiana sembra quello delle migrazioni dalle coste libiche. Pensa che in futuro potranno tornare ad aumentare gli sbarchi, in assenza di un’azione di deterrenza come quella messa in atto – pur con tutte le polemiche sui diritti umani - dal ministro Minniti?
Al contrario, penso che gli accordi stipulati tra Roma e Tripoli verranno rispettati, nonostante tutto. Al-Sarraj ha istituzionalizzato le milizie, che da parte loro si sono rivelate essenziali nel contenere le partenze dai porti di Zuara o Sabrata. Il punto piuttosto è che con il vertice di Parigi tutta l’attenzione si sposta verso il passaggio elettorale che, lo ripeto, non legittimerà altri che Haftar. Anche l’Onu vuole le elezioni, ma con più calma e maggior coinvolgimento della società civile libica. La verità è non solo che il Paese non è pronto: non c’è neanche una legge elettorale con cui votare.
Che consiglio darebbe al prossimo ministro degli Esteri italiano?
Di tenersi in equilibrio. Da un lato il piano Onu, che pur con tutte le sue debolezze, resta però il più conveniente per Roma: prudenza e voto per stabilizzare la Libia, non per tornare in guerra il giorno dopo. Dall’altra parte Francia, Egitto alleati arabi hanno come obiettivo com- battere i loro nemici, ovvero i Fratelli musulmani e gli islamisti (Al Qaeda e Isis). Ma Parigi mira anche a stabilizzare il Sahel per contenere i flussi migratori – una strategia che, tutto sommato, conviene anche a noi.