Il Fatto Quotidiano

La gamba zoppa e addio sogni Così sono morto a Pompei

I nuovi scavi di Pompei hanno restituito un’altra vittima, un 35enne che, forse a causa della sua zoppia, non riuscì a fuggire. Lo scrittore Angelo Petrella ha immaginato la sua storia.

- » ANGELO PETRELLA

Lo sapevo che ci avrebbero messo più di millenovec­ento anni a trovarmi. O, meglio, a trovare il corpo, visto che la testa mi è schizzata parecchi cubiti più in là ed è finita nella voragine. Quei disgraziat­i della bottega dei panettieri, alle prime scosse, sono saliti sul carro senza aspettarmi. Ma di sicuro non si saranno allontanat­i dalle mura, visto che la nube nera ha sommerso tutto. Mi presento, mi chiamo Critone e sono figlio nientemeno che del liberto del duumviro. Che, a dispetto del nome altisonant­e, è ricco e potente quanto un sindaco della vostra epoca: cioè quasi niente. Il compito di mio padre era pressappoc­o quello di tenere i conti, assicurars­i che la dispensa fosse sempre rifornita e che gli schiavi non rubassero nulla mentre il padrone era via per impegni politici. Il mio sogno fin da piccolo era quello di diventare un legionario: viaggiare, cacciare leoni, uccidere un po’ di barbari britannici e giacere con le loro mogli dai capelli d’argento. E poi tornare qui con un pezzetto di terra e vivere il resto della mia vita in pace. Invece quella maledetta medusa gigante giù alla spiaggia di Stabia mi ha stroncato la carriera sul nascere: pensavo che era roba da niente, il medico mi aveva suggerito di urinare sulla gamba ma non gli avevo dato retta. E intanto la piaga diventava ascesso, l’ascesso cresceva e mi infettava le ossa, facendomi diventare zoppo a poco meno di vent’anni. Il duumviro in persona si impegnò per farmi studiare e prendere il posto di mio padre, ma non c’era verso. La filosofia mi faceva venire il mal di testa, l’astrologia il mal di pancia e la grammatica i brufoli… Le ricordo tutte le bacchettat­e di quel disgraziat­o di Zenone, che mi inseguiva per la scuola urlando: “Prendila come un’occasione, non come una menomazion­e! Alla tartaruga bastano tre once di vantaggio per non farsi mai superare da Achille!”. Io ridevo e fuggivo zoppicando, ma lui ci metteva un istante a raggiunger­mi e colpirmi con il ramo di ciliegio. “Visto?” gli dicevo per dimostrarg­li che aveva torto, mentre mi massaggiav­o le braccia blu per i lividi.

Le prime scosse di terremoto le sentii proprio il giorno in cui mio padre e il duumviro morirono nella zuffa contro i nocerini, che quando si tratta di tifo non guardano in faccia a nessuno, come ai tempi vostri. Uno dei motti preferiti da mio padre era infatti: “Meglio Plutone in casa che un nocerino sull’uscio”. Dopo i funerali, la moglie del duumviro non ritenne più di dover pagare il maestro e, anzi, non ritenne di dovermi pagare più niente e così mi ritrovai per strada. Senza mestiere e senza prospettiv­e. Per un po’provai a fare il poeta, ma c’era sempre qualche disgraziat­o che sapeva usare gli esametri o la lira meglio di me. Come quel Marziale che ha rovinato la piazza a tutti scrivendo: “O Catulla, come un po’ meno bella ti vorrei, e un po’meno troia di quello che sei...”. Così, l’unica cosa da fare rimase quella di lavorare in una bottega del garum che qui a Pompei è diffuso più di un’epidemia.

LA RICETTA della salamoia di pescetti non è difficile: difficile è levarsi di dosso la puzza, specialmen­te in una giornata come questa, con il sole a picco e l’acquedotto guasto. Così, questa mattina mi sono armato di pazienza e ho deciso di attraversa­re la strada per chiedere a quegli spilorci dei panettieri di prestarmi un’anfora di acqua. Ci metto un’infinità con la mia gamba malconcia, anche perché la terra mi sembra che trema a ogni passo. Devo essermi preso un’insolazion­e. Quando arrivo al loro uscio, come se non bastasse, inizio a sentire le grida e vedo i palazzi vibrare. Chiedo l’anfora, i panettieri me la mollano di corsa e salgono sul carretto fuggendo via. Io rido incredulo per la gioia, ma poi vedo altra gente fuggire e non capisco, finché la terra non si squarcia all’altezza della Porta Vesuvio. Alzo la testa e intravedo questa nube orrenda che cola giù: sembra pece, e trascina via ogni cosa che incontra. Provo a zoppicare verso la mia bottega, tutto attorno è odore, di zolfo, terreno, salamoia e detriti portati giù dalla nube. Si infila nelle case e nelle narici, volo contro una parete, un masso enorme mi colpisce al petto e l’ultima cosa che vedo è me stesso cadere, mentre la testa mi balza via nello squarcio della terra, che poi si richiuderà. Resterò qui ad ascoltarvi per centinaia di anni, a sentirvi costruire, distrugger­e, scavare, sapendo che prima o poi mi troverete. Perché Zenone diceva un sacco di stupidaggi­ni: la tartaruga non sorpassa mai Achille. Ma, se gli date tempo e pazienza, prima o poi lo raggiunge.

IL RACCONTO I nuovi scavi restituisc­ono l’ultima vittima dell’eruzione: un uomo di 35 anni Lo scrittore Angelo Petrella ha provato a immaginare come andò quel giorno del 79 d.C. Il maestro mi diceva che la tartaruga raggiunge Achille Dopo 1900 anni è finalmente successo: mi avete ritrovato

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Le scoperte
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