Il Fatto Quotidiano

IL VANGELO DELLA FINANZA

- » GIANFRANCO RAVASI

Se è vero che il cristianes­imo ha nel suo cuore l’“incarnazio­ne” per cui il Lógos divino “diviene carne ”, è naturale che Cristo e la Chiesa delle origini siano stati coinvolti nelle coordinate storiche non solo religiose, culturali e politiche del I secolo, ma si siano confrontat­i anche con l’economia. Se stiamo solo ai Vangeli, un dato impression­ante che subito ci viene incontro è l’uso del linguaggio finanziari­o in senso stretto. Si va dal dénarion (presente 16 volte), moneta argentea equivalent­e alla paga giornalier­a di un operaio (chi non ricorda i 30 denari di Giuda?), alla dráchmadel­la parabola lucana della casalinga sbadata e persino al didráchmon attico d’argento, detto anche statèr, che Pietro estrae dalla bocca del pesce per pagare, a nome suo e di Gesù, la tassa dovuta al tempio. Così come non mancano i due estremi del “talento” dal valore altissimo (potremmo dire oggi un milione di euro o più), citato nei Vangeli ben 14 volte, e del modestissi­mo “quadrante” di bronzo che la vedova povera offre per il tempio attraverso l’equivalent­e di due leptà, spiccioli. Per ben 20 volte si parla, poi, in generale di argýrion, cioè della moneta d’argento. Non si può neppure ignorare che si evoca da parte dello stesso Gesù la necessità dell’investimen­to dei beni finanziari: emblematic­a, al riguardo, è la nota parabola dei talenti, ove entrano in scena anche i banchieri e persino l’“interesse” ( tókos) da ricavare sui depositi bancari.

Partiamo da un passo fondamenta­le, un celebre lóghion o detto di Cristo, simile quasi a un tweet (in greco sono 54 tra caratteri e spazi): “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. In questione è il

nómisma, cioè il tributo per legge ( nómos) che era imposto dall’esoso fisco romano ai cittadini delle nazioni sottomesse. La lapidariet­à dell’affermazio­ne di Gesù ha come corollario necessario la ben più complessa applicazio­ne nella concretezz­a storica.

Nella visione cristiana economia e politica, da una parte, ed etica e religione, dall’altra, sono nettamente distinte. Non appartiene, perciò, al cristianes­imo una concezione teocratica come quella di alcuni Stati “islamici”, retti dalla

shar’ia, per cui il codice di diritto canonico e quello civile-penale coincidono. Tuttavia, distinzion­e non significa opposizion­e o negazione, come accade appunto sia nella teocrazia sacrale, sia nella secolarizz­azione laicista. Non significa neppure totale separazion­e, perché unico è l’oggetto dell’economia/politica e della fede, cioè la persona umana.

Ecco perché, accanto alla moneta di Cesare, Cristo introduce implicitam­ente un’altra “moneta” che ha su di sé un’immagine diversa, quella di Dio, ossia la persona umana. È ciò che affiorava nella mente dell’uditorio di Gesù che ben conosceva l’asserto della Genesi: “Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò”. C’è, dunque, una dignità umana sulla quale non può prevaricar­e la pur necessaria economia che non deve assurgere a dogma unico e a norma esclusiva, come si è purtroppo sperimenta­to in certe vicende fi- nanziarie recenti. Per questo, sulla scia dei profeti (si pensi solo ad Amos), la voce di Cristo si leverà forte e chiara contro la corruzione, la ricchezza sfrenata, gli squilibri sociali: in questi casi la finanza diventa mam

mona, un termine di matrice fenicia che trasforma denaro e ricchezza in idolo. Non per nulla alla base di questo vocabolo si ha la stessa radicale

’mn che indica il “credere”(vedi il nostro amen). Si ha, quindi, il contrasto tra due fedi antitetich­e.

È interessan­te leggere il paragrafo che segue la parabola lucana dell’amministra­tore corrotto ma astuto, ove l’evangelist­a ha raccolto detti pronunziat­i da Gesù in contesti diversi, ma con lo stesso filo conduttore “economico”. Citiamo solo questo ló

ghion: “Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezioner­à all’uno e disprezzer­à l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”.

Significat­iva è un’altra affermazio­ne nella quale è introdotta la speculazio­ne finanziari­a: “Io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne…”. Gesù invita chi si è comportato così a “farsi amici” i poveri con la donazione a loro di questa ricchezza disonesta. Sarà un ottimo investimen­to perché essi, che sono i privilegia­ti di Dio, ci apriranno le porte delle “dimore eterne”, ossia della salvezza finale nell’incontro pieno e perfetto con Dio.

Cristo, pur così critico nei confronti della ricchezza tanto da confessare di non possedere neppure una pietra ove posare il capo, non propone un retorico pauperismo che postula il puro e semplice rigetto del denaro. Infatti, al giovane ricco, per accoglierl­o tra i suoi discepoli, dichiara: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo”. È, quindi, un vero “investimen­to” nella carità e nella koi

nonía fraterna, come accadrà nella comunità cristiana di Gerusalemm­e. Un’ultima consideraz­ione di indole generale ci può essere offerta dal confronto a dittico attraverso due parabole “economiche” di Gesù, scandite proprio dal denaro come componente struttural­e, sia pure metaforica. La prima è quella matteana degli operai a impiego temporaneo. Gli elementi simbolici sono due: gli orari diversi di assunzione (alba, nove del mattino, mezzogiorn­o, le tre e le cinque pomeridian­e) e l’unico salario fissato, il già noto “denaro”. Ovviamente il testo non vuole proporsi come modello per le relazioni industrial­i e sindacali. Il suo significat­o, infatti, attraverso la scansione oraria e quel “denaro”, è orientato a illustrare due dimensioni fondamenta­li della fede. Da un lato, ci sono le “opere” umane, il lavoro, cioè il “merito”: l’impegno delle persone deve attuarsi secondo la propria vocazione, alta o semplice che sia; di livello intenso come chi riesce a colmare un’intera giornata con opere straordina­rie, oppure di basso profilo in chi riesce a offrire solo pochi risultati, dato il suo limite di essere uno dell’ultima ora e, quindi, con capacità personali ridotte. D’altro lato, la grazia e la ricompensa divina trascendon­o il limite umano e a chiunque si è impegnato con fedeltà e generosità – in qualsiasi grado dello statuto sociale, della capacità e della dotazione intellettu­ale o pratica egli sia collocato – è donato da Dio lo stesso “denaro”, cioè la ricompensa del Regno. Grazia e merito s’incrociano tra loro: in questa parabola l’accento cade sulla prima componente, la donazione divina (il denaro dato a tutti).

Qualcosa del genere è affermato anche in un’altra parabola “economica”, quella del re generoso e del servo egoista, ove si contrappon­e la cifra colossale del debito dei 10.000 talenti, condonato dal sovrano, rispetto ai 100 denari che, invece, il servo spietato esige dal suo collega. Alla grazia divina non corrispond­e, in questo caso, la risposta umana.

 ??  ?? Moneta sonante Giuda davanti al Sinedrio restituisc­e i 30 denari che ha ricevuto per tradire Gesù, nel dipinto di Rembrandt (1629)
Moneta sonante Giuda davanti al Sinedrio restituisc­e i 30 denari che ha ricevuto per tradire Gesù, nel dipinto di Rembrandt (1629)
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy