Il Fatto Quotidiano

QUEI PIRATI DELLA CARTA

- » SALVATORE SETTIS

Cambiare la Costituzio­ne è molto complicato. Anzi no, è facilissim­o. Lo Statuto Albertino sopravviss­e 10 anni.

Cambiare la Costituzio­ne in Italia è molto complicato. Anzi no, è facilissim­o. Lo Statuto Albertino ( 1848) sopravviss­e c en t ’ anni. Mussolini cercò di cambiarlo nominando una “Commission­e dei Soloni”, antesignan­a delle commission­i di “saggi” per la modifica costituzio­nale di questi ultimi anni.

Ma le modifiche proposte dai Soloni erano così tenui che il duce preferì soprassede­re, e alterare l’ ordinament­o con una raffica di fascistiss­ime leggi ordinarie, contando sul fatto che lo Statuto non lo vietava espressame­nte e sulla complicità del Re. I saggi di nuova generazion­e ci hanno propinato soloneggia­ndo la riforma costituzio­nale Renzi- Boschi, bocciata dal referendum: perché, per nostra fortuna, la Costituzio­ne repubblica­na prevede una procedura rigorosa. Ma le voglie di cambiar tutto non si sono spente. C’è chi (come Renzi) sogna di rilanciare modifiche simili a quelle appena naufragate. C’è chi finge di dimenticar­e articoli cruciali della Carta, devastando la spesa sociale, la cultura, la sanità, la scuola, il diritto al lavoro (che in Costituzio­ne ci sono) in nome dell’ossequio ai mercati (che in Costituzio­ne non c’è). E c’è chi rispolvera adattandol­a ai tempi l’opposizion­e, formulata ai tempi dello Statuto Albertino, fra Costituzio­ne formale e “Costituzio­ne materiale”. La cosiddetta Costituzio­ne materiale sembra ridursi ormai alla presa d’atto di una prassi di governo, quasi che ogni azione del Capo dello Stato, dei partiti, del Parlamento o dei governi, pur se difforme dalla Costituzio­ne vigente, ne prendesse il posto autolegitt­imandosi sull’istante. Diventando “precedente” di forzature simili, sempre pronte dietro l’ angolo. Si tenta così, senza dirlo, di trascinare la Carta in regi medico mm on law, ch esi fonda sulla consuetudi­ne esuip recedenti giurisprud­enziali.

Alla luce di questa aberrazion­e strisciant­e la crisi istituzion­ale dei giorni scorsi rivela il diffuso ripudio della difesa della Costituzio­ne che sembrò unire il Paese nel referendum del 4 dicembre 2016, e la riscrittur­a di una fant a costituzio­ne a propria immagine e somiglianz­a da par tedi molti attori politici e istituzion­ali. Di qui le crescenti e contrappos­te anomalie della crisi dopo il 4 marzo. Per esempio (lo ha scritto sul Fatto Tomaso Montanari) “l’irresponsa­bile percorso di privatizza­zione delle istituzion­i repubblica­ne, culminato nel contratto fra Lega e Cinque Stelle”. Tale testo ripropone sì i consueti accordi fra partiti, che però non presero mai la forma notarile del contratto fra alleati che diffidano l’un dell’altro. Ma senza questa diffidenza non si capisce come mai al ruolo di presidente del Consiglio sia stato designato non (come vuole l’art. 95 della Costituzio­ne) un responsabi­le in prima persona della politica generale del governo, bensì un “esecutore” di voleri altrui. Il dialogo fra presidente del Consiglio incaricato e Presidente della Repubblica (previsto dall’art. 92 della Costituzio­ne) ne risultava compro- messo. Da un lato un premier uno e trino, dall’altro un Capo dello Stato riluttante ad accettare la situazione.

In questo scontro non di forze, ma di debolezze, la prova data dagli alleati giallo-verdi e da Mattarella con l’impuntatur­a sul nome di Paolo Savona è l’episodio più singolare. Nel governo Conte ci sono ministri assai discutibil­i, come Salvini che vorrebbe armare gli italiani e deportare i migranti. Ma è su Savona che abbiamo visto scontrarsi due opposte “Costituzio­ni materiali”: quella di chi nega al Capo dello Stato il diritto di discutere la scelta dei ministri che deve nominare e quella di un Presidente che invoca i mercati per sigillare un suo veto, che poi si rimangia spostando Savona di una casella sulla scacchiera del governo. E perché mai il Capo dello Stato dovrebbe impedire che un nuovo governo apra un negoziato sulle politiche di bilancio e di austerità in Europa? Contro queste politiche si sono pronunciat­i molti nostri governanti, anche l’allora presidente del Consiglio Renzi; ma senza trarne le conseguenz­e. E l’unica possibile interpreta­zione del risultato elettorale è che su questo fronte un altissimo numero di italiani si aspetta un governo capace non di uscire dall’euro, ma di negoziare un’Europa più giusta, essendone l’Italia non un servitore o una colonia, bensì uno dei principali componenti.

Ma perché mai fermare sul nascere un governo uscito dalle urne per sostituirl­o con un governo tecnico di brevissima vita avrebbe dovuto “tranquilli­zzare i mercati”? Provando a spedire Cottarelli in Parlamento per una inevitabil­e crocifissi­one, Mattarella inchiodava se stesso a una decisione che imprime al ruolo del Capo dello Stato “una torsione inaudita” (Montanari). Sorprende che un uomo dal curriculum impeccabil­e come Mattarella non abbia previsto le conseguenz­e del suo gesto: oltre all’improponib­ile impeachmen­t (per fortuna rientrato), abbiamo visto crescere sull’istante due tesi opposte. A un estremo, la compressio­ne del ruolo del Presidente della Repubblica a una servile presa d’atto della lista dei ministri. All’altro estremo, la rivendicaz­ione di una repubblica presidenzi­ale. La conversion­e a U dell’ultimo minuto, la momentanea convivenza in pectore di due premier incaricati, il responsabi­le distacco di Cottarelli da un’avventura che lo avrebbe travolto hanno corretto il tiro, ma introducen­do nella prassi nuove varianti che la Carta non prevede.

Il 4 dicembre 2016 fa abbiamo difeso la Costituzio­ne da una pessima riforma. Oggi quei valori sono messi in discussion­e dal ribollire di una “Costituzio­ne materiale” a cui istituzion­i e politici collaboran­o anche senza volerlo. Nel 2013 si ignorò il responso delle urne, perdendo poi un’intera legislatur­a in miserevoli conati. Nel 2018 era necessario un governo politico, in cui le forze disposte a farlo mettano se stesse alla prova. E ora dobbiamo vigilare, mentre si aspetta il nuovo governo alla prova della Costituzio­ne. Dato che il cosiddetto “contratto” è una bizzarria extra-costituzio­nale, che cosa ci dirà il presidente Conte nel suo discorso programmat­ico? Si limiterà a copiare il compito, o mostrerà l’indipenden­za di giudizio e la leadership prescritte dall’art. 95 della Costituzio­ne? Che posto darà a temi, come la cultura e la scuola, che il “contratto” affronta di striscio e senza idee? Propugnerà, come il “contratto”, una difesa domiciliar­e “sempre legittima”? Raccoglier­à dal suo ministro dell’Interno Salvini l’idea che un italiano su due debba essere armato? Queste e altre domande premono. Dal Capo dello Stato e dal governo abbiamo il diritto di aspettarci un pieno impegno a rispettare la Costituzio­ne vera, l’unica che abbiamo. Se non accadrà, sappiamo chi sarà la prima vittima: la nostra democrazia.

L’aspetto notarile dell’accordo M5S-Lega mette in discussion­e il ruolo del presidente del Consiglio (art. 95 della Costituzio­ne) Due tesi sul caso Savona: il capo dello Stato che solo “prende atto” dei ministri, la richiesta di una Repubblica presidenzi­ale

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Ansa Poteri in equilibrio? Il palazzo del Quirinale, sede della Presidenza della Repubblica
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