Applausi e biglietti da visita È il nuovo potere “barbaro”
Nasce la Terza Repubblica: folla al Colle e poi tutti a presentarsi al “sistema”
La Terza Repubblica degli applausi e delle lacrime, dei taxi collettivi (grillini, ovviamente) e persino dei militari al governo. Il generale Sergio Costa, ministro dell’Ambiente, è in borghese, ma quando arriva davanti alla scrivania presidenziale si ferma e batte i tacchi per salutare il capo dello Stato.
L’esecutivo grilloleghista giura in un pomeriggio di caldo insopportabile e cambia pure di colore. Domina il blu e di verde ci sono solo i calzini di Matteo Salvini e la sua cravatta griffata Marinella.
Due divi, Salvini e Luigi Di Maio. La postura del capo del M5S, al Colle, è sempre rigida. Il fratello padano invece è seduto come su una panchina di calcio, col busto piegato in avanti. I due ridono e scherzano insieme con Riccardo Fraccaro. Salvini è il primo dei ministri a giurare. Mani giunte sulla pancia, formula di rito e firma. Stringe la mano a Mattarella e fa per andare via. È una frazione di secondo. Salvini torna indietro e saluta il premier Giuseppe Conte. Se n’era quasi dimenticato. Un lampo che è un lapsus.
DUE DIVI e un attore non protagonista. Conte, appunto.
Il rigido Di Maio impiega poco per passare dal divertimento all’emozione. Accade quando giurano i suoi fedelissimi. L’ultima è Giulia Grillo e il superministro dello Sviluppo e del Lavoro si porta la mano all’occhio, per asciugare una lacrima. Dall’apriscatole di un lustro fa al governo del Paese.
Il resto sono dettagli secondari, finanche il solenne faccia a faccia tra Mattarella e Paolo Savona, l’economista dello scandalo, appena domenica sera.
Tutto si compie in meno di trenta minuti. Alle cinque del pomeriggio, lungo il perimetro di piazza del Quirinale, al solito blindata, c’è tantis- sima folla. Un signore si lamenta: “Le caste non ci vogliono far vedere il nostro governo”. Poliziotti e auto blu. Non si passa. I ministri iniziano a uscire e la massa si anima. Il primo boato è per Salvini. “Ma-tteo, Ma-tteo”. Indi, esce Di Maio e s’alza un ruggito che mescola applausi e incitamenti.
È la fotografia dello strappo nelle urne del 4 marzo. Nulla sarà come prima, fascismo o non fascismo. E lo straniamento che s’impadronisce di chi osserva contiene una sensazione netta: in un “dopo” vicino o lontano non si tornerà mai più all’antico, tipo Renzi o Berlusconi.
UN’EPOCA tramonta come il sole che sembra quasi posarsi sui giardini del Quirinale. La festa è doppia. Dal giuramento al tradizionale ricevimento del capo dello Stato per la ricorrenza del due giugno. Due mondi e due repubbliche che fanno spalla a spalla ma senza darsi confidenza. Grillini e leghisti preferiscono non mischiarsi. I rischi sono disseminati tra tavoli e gazebo dei giardini. In ordine sparso: Malagò, Patuelli, Boccia, De Mita e Mancino, Maggioni, Vespa, Gianni Letta, Gentiloni, Martina.
Salvini percorre il vialetto assediato dai questuanti. Ogni sosta, un biglietto da visita, qualche frase sussurrata all’orecchio. “Questo lo dirò a Fontana”. Ancora una volta: “Il ministro interessato è Fontana”. Sono persone che chiedono aiuto per la disabilità, compresa l’Unione dei Ciechi.
Poi Salvini si volta e si trova di fronte Lino Banfi. L’attore: “Sei il mio eroe”. Il divo Matteo: “Anche tu sei il mio eroe”. Banfi: “Allora mi devi vendicare”. Chissà per cosa. I due fanno una gag sulla bizona e sull’immortale 5-5-5 di Oronzo Canà. Ancora l’attore: “Di Maio sa tutte le battute dei miei film”. Il populismo è anche questo.
ALTRA SOSTA, sempre per la disabilità. Ma dietro ci sono Ciriaco De Mita e la figlia Antonia. Quest’ultima si presenta: “Lei è il nuovo che avanza, piacere Antonia De Mita”. Salvini saluta ma tira dritto senza omaggiare il padre di “Antonia”. Lungo la traiettoria c’è persino Emma Marcegaglia. Stesso giochino rapido, bacio di circostanza e poi avanti il prossimo.
“Salvini si sente un barbaro qua in mezzo?”. Sorride: “Un barbaro sognante (la vecchia corrente di Maroni, ndr)”. Più serio: “La verità è che sono un curioso”. Un curioso sfuggente, però.
Decisamente più rotondo e inclusivo e democristiano Di Maio. S’intrattiene con il clan Minoli, incluso Salvo Nastasi, figura falstaffiana del potere eterno e consociativo di Roma. Non se ne perde uno, Di Maio: da Vespa all’ex direttore del Sole 24 Ore Napoletano.
E Conte, il premier? Qualcuno dice che non è arrivato. Massì che c’è, è là in fondo. Il potere gialloverde o gialloblu nasce e l’uscente Padoan e l’entrante Tria conversano. Almeno due che si parlano.
Io vorrei rassicurare tutti. Noi non siamo dei marziani e avremo modo di dimostrarlo. Ci rafforzeremo in Europa
GIUSEPPE CONTE