Tria sull’Ue non è meno “eretico” di Savona
Nessuna uscita dall’euro (per entrambi), ma proposte di riforma che non piaceranno a Merkel
C’è
una curiosa successione nell’ultimo numero (marzo 2018) della rivista della Fondazione Craxi, Le sfide: nella sezione “Italia-Europa” si susseguono gli interventi di Giovanni Tria e Paolo Savona, il neoministro dell’Economia e quello che avrebbe potuto esserlo senza il veto del Colle, oggi dirottato agli Affari Ue.
QUELLA tra Tria e Savona è una staffetta sulla carta, dunque, ma pure al governo: lo stesso ex ministro di Ciampi, peraltro, è stato tra gli sponsor della nomina del preside di Tor Vergata. Ora i due, che si conoscono da tempo, lavoreranno insieme sui rapporti tra Italia e Ue, tema su cui – carattere e stile a parte - non sono poi così distanti. I due articoli di Le sfide, ad esempio, sono entrambi dedicati alle proposte con cui l’Italia dovrà partecipare alla riforma dell’Eurozona avviata da Francia e Germania.
Tria, per dire, scolpisce che includere il Fiscal Compact “nell’ordinamento dell’Ue significa un ulteriore trasferimento di poteri a una istituzione europea, quando non è stato ancora risolto il problema della sua legittimazione democratica e cioè chiarito che l’Unione politica è un obiettivo”. Se non è un obiettivo, insomma, niente cessione visto che “la discrezionalità fiscale è la base della sovranità politica”.
Se non va bene il Fiscal Compact, però, “è molto pericolosa” pure la proposta degli economisti franco-tedeschi sui debiti pubblici: la parte eccedente il 60% del Pil, secondo loro, andrebbe emessa in titoli di Stato di “serie B”. Problema: di fronte a uno choc esterno questo sistema “tenderebbe ad accelerare la crisi”.
Il dilemma in Europa, è la tesi del ministro dell’Econo- mia, “è tra condivisione e limitazione dei rischi”: la prima è richiesta dall’Italia (e altri), la seconda un’ossessione della Germania (e altri). Questa la proposta di Tria: andrebbe assunta “la limitazione del rischio come un compito immediato, nazionale ed europeo, e questo significa indicare un piano percorribile e credibile di riduzione e ristrutturazione ( sic) dei debiti. L’Italia non dovrebbe sedersi al tavolo senza un piano specifico sul debito da contrattare in Europa in cambio di impegni sul bilancio Ue (…) Si tratta di predisporre un piano massiccio di investimenti pubblici di dimensione tale da contrastare a breve termine una nuova deflazione”.
IN SOSTANZA, l’Italia si impegna a tagliare il debito, ma con l’aiuto della Bce e un piano di investimenti pubblici realizzato con un (aumentato) budget Ue in modo da attenuare gli effetti recessivi del consolidamento fiscale: in sostanza un inizio di trasferimenti dai Paesi core (Germania) a quelli periferici. Per Berlino, se non una bestemmia, quasi.
Cosa scrive Savona? Che tra chi fa finta di nulla e chi vorrebbe uscire dall’euro lui propone la terza via di chiedere con durezza una riforma dell’Ue prima della sua implosione: la linea Macron-Merkel “per noi italiani equivale ad essere emarginati dal processo decisionale e conduce a un vero protettorato”. L’Italia dovrebbe fare queste, minime, proposte: accrescere il budget Ue permettendo anche l’i ndeb itamento; dare più peso all’Europarlamento; ampliare i poteri della Bce; un accordo vincolante sull’immigrazione. Tradotto: se non una bestemmia, quasi.
Ora Tria e Savona avranno modo di testare la durezza dello scontro in prima persona. Il secondo non pare farsi molte illusioni: “Le prospettive di una riforma dei trattati che porti l’Ue fuori dalle secche sono nulle”. Auguri.
A sorpresa
Sulla rivista della Fondazione Craxi i 2 ministri sulla riforma dell’Ue: tra loro sintonia non casuale