Il Pd prova a buttarsi sul “fascismo”
Opposizione allo sbando: assenti Renzi, Zingaretti e Gentiloni
“Ce l’hai fatta a venire alla fine”. Ha un’espressione quasi stupita il reggente del Pd, Maurizio Martina, mentre trova ad accoglierlo Carlo Calenda, ministro (ormai ex) dello Sviluppo economico e, per un paio di giorni, tra i leader di punta del “Fronte repubblicano”, ideato da Renzi. Quello che avrebbe dovuto condurre il Pd alle elezioni, a luglio, o magari a settembre. “Le elezioni non ci sono, quindi il Fronte va allargato”. Calenda, interpellato al riguardo, la mette così: “Va esteso a tutti i mondi responsabili, da opporre alle forze di governo”.
IN MATTINATA, Graziano Delrio ci va giù duro: “Certamente è un governo del cambiamento, il problema è che si può cambiare in peggio. Anche il governo fascista era un governo del cambiamento in Italia”. L’opposizione targata Pd inizia così, evocando il fascismo. “È un governo di estrema destra che nasce con il plauso di tutte le forze neofasciste d’Europa e che non far il bene del Paese”, attacca Matteo Orfini. D’altra parte, la manifestazione doveva lanciare una campagna elettorale in difesa del presidente della Repubblica e in nome dell’Europa, dopo che Luigi Di Maio aveva invocato l’i m pe achment per Sergio Mattarella. E farla mentre Cinque Stelle e Lega giurano al Colle appare surreale e farsesco. Ha insistito Martina per non sconvocarla. Risultato? Una piccola folla in un luogo che ricorda un passato glorioso, o quanto meno promettente, come quello dell’Ulivo. E un retropalco pieno di ex ministri.
In piazza, in realtà, c’è un’ampia rappresentazione di quel che si agita dentro il Pd e accanto al Pd. Marco Minniti, nascosto dietro gli occhiali da sole, è appena uscito dal Viminale, dove si sta insediando Matteo Salvini. Parla con Lorenzo Guerini. Personaggi che per anni hanno gestito il potere e che all’improvviso sono parlamentari sem- plici. Tra gli ex ministri, anche Beatrice Lorenzin e Delrio, Luca Lotti e Valeria Fedeli. Sono arrivati anche Riccardo Nencini e Bruno Tabacci. Non manca Walter Veltroni, l’unico padre nobile che ogni tanto si fa vedere. E poi c’è Pierferdinando Casini, entrato nel gotha dem, dopo aver presieduto la Commissione di inchiesta sulle Banche con i noti risultati disastrosi per Renzi che lo aveva voluto lì. C’è il capogruppo in Senato, Andrea Marcucci e Delrio. E poi, c’è Nico Stumpo, deputato di Liberi e Uguali. Arriva per ultima Laura Boldrini, ex presidente della Camera. Era atteso Nicola Zingaretti, presidente della Regione, ma non si è fatto vedere: bloccato in Aula sul bilancio (che è passato con l’astensione dei grillini). Paolo Gentiloni è impegnato nella campanella: non arriva neanche lui. Renzi non ci pensa proprio: è partito per la Cina, poi andrà negli Stati Uniti. Obiettivo: tenere conferenze. Tornerà per il no alla fiducia.
D’ALTRA PARTE, la manifestazione doveva essere l’inizio della campagna elettorale. Quella della “verifica”, come l’ha definita Marcucci martedì in Aula, chiedendo il voto il 29 luglio. In parte richiesta reale, in parte tattica. Alla fine, il Carroccio ha dovuto scegliere tra le elezioni in estate o il governo. Il Pd, in realtà, aveva cominciato ad accarezzare l’idea di riprovarci. Martina chiama all’ “opposizione popolare”. Per ora, quella parlamentare sembra tutta da inventare.
Si può anche cambiare in peggio Anche il governo fascista era un governo del cambiamento per l’Italia
GRAZIANO DELRIO