8 ore al ristorante, poi Rajoy si arrende Sánchez al potere
Passa la sfiducia, il Psoe esulta: “Sì, se puede”. Ma il governo di minoranza (con Podemos) ha già le elezioni all’orizzonte
Sono le 11:30 del mattino di ieri, quando la presidente del Congreso, Ana Pastor, dà lettura dei risultati del voto sulla mozione di sfiducia dei socialisti contro il presidente del governo spagnolo: 180 favorevoli, 4 in più della maggioranza assoluta richiesta, 169 contrari, un’astensione. Finisce così l’era Rajoy, dopo 7 anni di governo e tre elezioni vinte; dieci giorni dopo l’approvazione del bilancio per il 2018 che gli aveva fatto credere di poter rimanere in sella fino alla conclusione della legislatura nel 2020. E comincia il terzo governo socialista della storia democratica spagnola: il leader del Psoe, Pedro Sánchez, sarà il settimo presidente, il primo ad aver vinto una mozione di sfiducia.
AGLI 84 VOTI del suo gruppo, si sono aggiunti quelli di Unidos Podemos-En Comú Podem-En Marea, di Compromís, di Nueva Canaria, del Partido Nacionalista Vasco, degli indipendentisti baschi di Bildu e dei partiti indipendentisti catalani, Esquerra Republicana e Partit Demòcrata. A sostegno del PP, Ciudadanos, la nuova destra spagnola su cui oramai puntano tutti i poteri forti dello Stato che avrebbe voluto andare alle elezioni. Un governo di minoranza nato in sede parlamentare, votato dai rappresentanti di 12 milioni di persone. Una maggioranza puntuale per una situazione di emergenza fondata su ragioni d’igiene democratica, dopo la sentenza sul caso di corruzione Gürtel che ha visto il coinvolgimento di ex dirigenti del PP, la conferma dell’esistenza di un bilancio del partito parallelo per il suo finanziamento illegale e il discredito della testimonianza di Rajoy.
“Questo governo vuole inaugurare un nuovo corso – interviene in conclusione di dibattito il futuro presidente –. Questo governo vuole che la Catalogna rimanga in Spagna ma vuole ascoltare la Catalogna”, dice, toccando uno dei temi più discussi dai portavoce dei partiti indipendentisti che hanno avanzato una richiesta di dialogo, ripercorrendo gli eventi degli ultimi mesi che hanno gettato la Catalogna in una situazio- ne di eccezionalità democratica.
E DAI LORO PRINCIPALI detrattori, PP e Ciudadanos, che non hanno smesso di qualificare il nuovo esecutivo come il governo Frankenstein, sostenuto da quelli “che vogliono liquidare la Spagna”.
La Catalogna ha da poche ore registrato sulla Gazzetta ufficiale della Generalitat i nomi dei consiglieri del nuovo governo Torra, dopo che il presidente ne ha sostituiti quattro ( che sono in carcere o in esilio e il governo spagnolo si era rifiutato di accettare).
Oggi finalmente il gover- no s’insedierà e con ciò si avrà la fine del commissariamento delle istituzioni catalane. Il portavoce del gruppo popolare Hernando, prima del voto, parla come se fosse già all’opposizione. Accusa Sánchez di allearsi con i radicali estremisti, con gli ex amici dell’Eta. Poi, addirittura, si commuove quando il suo gruppo si alza in piedi ad applaudirlo perché ha appena detto: “Sono orgoglioso di essere del PP”.
D’altronde, è costretto a sopportare da solo per tutta la mattina il peso dell’imminente sconfitta, perché Rajoy si presenta in aula solo a conclusione del dibattito.
Il giorno prima, mentre tutti si chiedevano dove fosse finito, Rajoy si è rinchiuso per 8 ore in un ristorante del centro. “È stato un onore essere il presidente del governo spagnolo e lasciare una Spagna migliore di quella che ho trovato”, dice Rajoy accomiatandosi.
DOPO IL VOTO, i socialisti rimangono per un tratto nell’emiciclo per farsi le foto. Subito fuori si sente scandire “Sí se puede”. Rajoy è già parte della storia. Comincia l’avventura di un nuovo governo che dovrebbe portare entro un certo tempo a elezioni. Fino ad allora, molti saranno i problemi aperti.
“Ribaltone” in aula 180 voti sanciscono la fine dei Popolari dopo 7 anni. Anche Iglesias con i socialisti