Le spine di Pedro (che non è Zapatero)
Il nuovo presidente La “costola” dell’altra sinistra e un Paese diviso
Dopo
sette anni di dominio del PP, la nascita di un nuovo governo socialista in Spagna riporta la memoria all’ultimo esecutivo Psoe di José Luis Rodríguez Zapatero, che quando divenne presidente del governo spagnolo nel 2004, aveva 44 anni, appena due in meno di Pedro Sánchez oggi. Entrambi dovettero combattere dentro il partito per conquistarne la leadership, Zapatero con la piattaforma Nueva Vía con cui s’impose nel XXXV congresso del Psoe e Sánchez con la celebrazione di primarie tra gli iscritti che gli restituirono la segreteria generale del partito da cui era stato costretto a dimettersi. Ma il parallelismo si ferma qui, le condizioni socio-politiche della Spagna del 2004 e quelle del 2018 non si somigliano.
ZAPATERO arriva al potere vincendo le elezioni all’indomani della grande bugia di Aznar che aveva provato a spacciare la strage di Atocha per un attentato dell’ETA. Il suo sistema di valori è centrato sul terreno della cittadinanza, della cui applicazione diventa un precursore in Europa. Ha un’idea di plurinazionalità della Spagna che però s’infrange nel taglio allo Statuto catalano del 2006 da parte del Tribunal Constitucional; una strategia di risoluzione dei conflitti politici per via politica: il tentativo di dialogo con l’ETA per una soluzione concordata del conflitto armato è il prodromo della fine dell’organizzazione terrorista basca che si è celebrata al principio del maggio scorso. Il Pil va a gonfie vele, ma con la crisi economica arrivano le difficoltà: Zapatero è il primo leader della sinistra europea ad applicare le ricette neoliberiste e le elezioni del 2011 portano al governo i popolari di Rajoy.
La crisi in Spagna è durissima, produce il movimento degli Indignati, porta alla fine del bipartitismo, il compromesso costituzionale non regge più. Nascono Podemos e Ciudadanos, le città sono governate da nuove formazioni di base, in Catalogna si afferma e cresce il movimento indipendentista.
SÁNCHEZ si affaccia alla direzione del suo partito in questa fase politica. Per la prima volta i socialisti hanno un concorrente alla loro sinistra che rischia di sorpassarli, il PP non ha più la maggioranza assoluta ma è al governo, il conflitto territoriale si fa potente fino a di- ventare, nell’autunno scorso, il principale problema dello Stato spagnolo. La vicenda catalana si conclude nella repressione, con il commissariamento delle istituzioni catalane sostenuto dal partito socialista e i dirigenti dell’indipendentismo mandati in carcere o in esilio accusati di una violenza mai esistita. La democrazia spagnola appare debole, Amnesty denuncia una riduzione della libertà d’espressione, la destra si rafforza recuperando il linguaggio cupo di altri tempi. Dilaga la corruzione, il Pil torna a crescere sul modello di sviluppo pre-crisi, nella precarietà del lavoro. Le donne scendono in piazza in centinaia di migliaia l’ 8 marzo e gli anziani rivendicano pensioni dignitose.
In queste condizioni nasce il governo Sánchez e rappresenta meno di un quarto dei voti della Camera. Nasce sull’emergenza democratica per cacciare Rajoy. Il resto è tutto da conquistare.
La questione catalana, la crisi economica, la fine del bipartitismo: rispetto al 2004 è tutto diverso