Il Fatto Quotidiano

Movida milanese: pizza e hamburger e il debito con i clan

Legami Nelle intercetta­zioni della Dda di Napoli collegano la famiglia Iorio, proprietar­ia di noti locali, ai camorristi Lo Russo

- » DAVIDE MILOSA

Milano, capitale della movida e del cibo. La ristorazio­ne è un grande affare. Soprattutt­o poco prima e subito dopo Expo. L’Esposizion­e universale fa da traino. Ne approfitta, con buon intuito imprendito­riale, Marco Iorio, napoletano classe 1969 assieme ai fratelli Massimo e Carmine. Nel capoluogo lombardo non arrivano da sprovvedut­i. All’ombra del Vesuvio, infatti, già si sono fatti un nome con alcuni ristoranti molto noti. Sotto al Duomo aprono diversi locali. Stanno vicino a corso Vittorio Emanuele, ma anche a due passi dalla Galleria, o ancora in corso Garibaldi e nella zona di via Marghera. Pizza e hamburger.

IN QUEL 2014, periodo di apertura di alcune società, Marco Iorio è uscito dal carcere da almeno un anno. Coinvolto in un’inchiesta della Dda di Napoli. Le accuse sono gravi. Viene accostato al clan di camorra dei Lo Russo e a una famiglia di usurai. La discovery dell’inchiesta “Megaride” è del 2011. Marco Iorio finisce in carcere. Le accuse, però, seguendo i tre gradi di giudizio, cadono o vanno prescritte.

L’aggravante mafiosa evapora subito, mentre il riciclaggi­o legato ai soldi della presunta usura resiste, ma arrivato in Cassazione cade per intervenut­a prescrizio­ne. Non è un’assoluzion­e completa, ma poco importa. Gli Iorio lasciano la Campania e arrivano in Lombardia. Una presenza che non passa sotto traccia. La Polizia locale sul finire del 2016, infatti, mette insieme un corposo fascicolo di assetti societari e gira il tutto all’Antimafia per valutare l’ipotesi di una misura patrimonia­le. Ipotesi che a oggi, evidenteme­nte complice l’iter giudiziari­o, resta lettera morta.

Ora, un’ultima inchiesta della Dda di Napoli aggiunge particolar­i in più sul rapporto tra Iorio e il clan Lo Russo. Il cerchio, però, non si chiude. I fratelli Iorio non risultano indagati e sul tavolo, comunque, possono mettere un giudicato molto solido. L’ultima indagine coordinata dalla Dia fotografa la figura di due fratelli, Antonio e Lugi D’Ari, entrambi medici. Finiranno arrestati per i loro rapporti con i Lo Russo. Carnefici, ma anche vittime in qualche modo.

Sono loro, infatti, che durante la carcerazio­ne degli Iorio pren- dono in gestione i tre locali di Napoli. Lo fanno, si legge nell’ordinanza, su richiesta del padre dei tre fratelli. È in questo momento che emissari dei Lo Russo bussano alla loro porta per chiedere la restituzio­ne di 200 mila euro. La cifra corrispond­e al reimpiego del denaro nelle società degli Iorio. I due apprendono così che “i Capitoni vantavano un credito poiché in precedenza avevano versato nelle mani di Marco Iorio denaro oggetto di reimpiego nel (...) ristorante”.

La conferma arriva anche da Domenico Mollica, coinvolto nell’inchiesta e ritenuto il cas- siere del clan. Lo stesso Mollica spiega riferito a Iorio: “Se ne è uscito con i soldi più assai di prima lo scornacchi­ato!”.

Che fine abbia fatto quel denaro resta un punto di domanda. “Il dato certo – spiega un investigat­ore che ha seguito l’indagine – è che gli Iorio dopo la scarcerazi­one salgono a Milano”. A oggi, però, non vi è prova giudiziari­a che colleghi quei soldi all’apertura dei locali milanesi. Mimmo Mollica parlando con uno dei due medici che si sono ritrovati truffati e con quei 200 mila euro vantati dal clan, spiega: “Perché quello (Iorio, ndr ) sta girando un’altra volta con i soldi, non so, tiene i soldi di uno di Milano in mano, uno grosso (…) quello acchiappa tutta gente (…) ora dicono che i soldi assai glieli sta dando Icardi (non indagato, ndr), il giocatore dell’Inter”. La frase, pur di interesse, resta senza un seguito concreto.

MOLLICA però insiste: “Quello (Iorio, ndr) perché se n’è andato da qua e si è buttato a Milano? Ha capito l’andazzo e ha detto ‘Mo’ mi butto a Milano!’ …stanno i soldi di tutti i giocatori in mano!”. Locali e calciatori, il segreto del successo. Che a ora non pare avere evidenze penali.

Tanto più che lo stesso Iorio, durante un colloquio con uno dei due medici che gli chiede conto dei 200 mila euro, spiega di non saperne nulla e di essere disposto anche ad andare dai carabinier­i per denunciare gli uomini del clan che vantano la restituzio­ne di quel denaro.

Nel frattempo, gli Iorio cavalcano l’onda meneghina. A loro è riconducib­ile, ad esempio, il “Prime Burger” di via Privata della Passarella 4. Come anche la pizzeria “Regina” all’interno della suggestiva location dell'ex banca Ponti di proprietà del Comune di Milano.

L'amministra­tore della Vanilla srl che detiene le quote del ristorante, è a sua volta attivissim­o nel settore e socio di una cordata giapponese.

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LaPresse L’industria del tempo libero Una sera a Milano in zona Largo La Foppa

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