Il Fatto Quotidiano

“Siamo noi i moderati della Terza Repubblica Ora nuovi referendum”

Riccardo FraccaroIl neo ministro ai Rapporti con il Parlamento e alla Democrazia diretta

- » PAOLA ZANCA

Di mani, lui, non ne ha strette tantissime. La sua compagna è incinta e, dopo una giornata così impegnativ­a, ai giardini del Quirinale, hanno preferito stare soprattutt­o seduti. D’altronde, Riccardo Fraccaro è uomo di poche parole. E dei grillini in giacca e cravatta è pure uno degli antesignan­i. Così, non lo stupisce più di tanto l’omaggio che “il sistema” ha riservato ai nuovi venuti, venerdì al riceviment­o presidenzi­ale. Li ha visti, i guanti bianchi per i barbari. Ma sa che un po’, sono cambiati anche loro. “Cinque anni in Parlamento ci hanno fatto crescere, nelle istituzion­i abbiamo imparato a entrare in meccanismi per nulla banali. Ci è servito a capire quando è giusto alzare la voce e quando conviene mediare”.

Si è ribaltato il mondo.

In effetti, nella Terza Repubblica, i moderati siamo noi.

E il capo è Luigi Di Maio, che per portare a casa il risultato ha ritirato la richiesta di impeachmen­t.

Un capolavoro politico. Credo che il suo gesto sia segno di grande saggezza. Ha riaperto in una notte il tavolo e tutti hanno capito che di fronte all’opinione pubblica era impossibil­e tirarsi indietro.

L’ha capito soprattutt­o la Lega.

A loro capita quello che è successo a noi: li dipingono in un modo, ma io al tavolo tecnico li ho conosciuti in un altro.

Il ministro Fontana ha esordito dicendo che la famiglia gay non esiste.

Ha detto anche che è a favore della legge sulle unioni civili. Per me questo sgombra il campo da ogni questione.

Anche sull'immigrazio­ne, Salvini è partito a razzo. Noi faremo quello che c'è nel contratto. Se si propone qualcosa che è fuori, serve il consenso di entrambi.

Lei guida i Rapporti col Parlamento e il nuovo ministero della democrazia diretta. Una volta Casaleggio disse che dopo averla realizzata, potremmo anche scomparire. La democrazia diretta è la stella polare del Movimento. Finora la sperimenta­te coi numeri del blog. Con 59 milioni di italiani come si fa? Oggi votiamo ogni 5 anni e dobbiamo sperare che chi guida il Paese faccia quello che ha promesso. Esiste il referendum abrogativo, ma spesso è viziato dal quorum e dalle campagne pro-astensioni­smo. Vogliamo ridare le chiavi del paese ai cittadini.

E la delega parlamenta­re?

Si delega la tutela dei propri interessi, ma si deve avere anche la possibilit­à di intervenir­e. Il referendum propositiv­o esiste già in 26 Stati americani, compresa la California. Ha il grande vantaggio di permettere ai cittadini di portare nell’agenda politica temi che sono ignorati o colpevolme­nte trascurati. Se avessimo potuto imporre

Basta con i decreti e il dibattito imbavaglia­to: non faremo agli altri quello che hanno fatto a noi

il conflitto di interessi al Parlamento, avremmo aspettato trent’anni? La Carta già prevede leggi di iniziativa popolare ma non funzionano. Cosa cambia? Le firme raccolte dai cittadini finiscono in un cassetto che nessuno apre più: va inserito l’obbligo di discussion­e delle proposte in Parlamento. Lo prevedeva la riforma Boschi, bocciata il 4 dicembre. Sì, ma rinviava l’attuazione a una legge costituzio­nale che non si sarebbe mai fatta. All’epoca, chiesi a Maria Elena Boschi di introdurre l’obbligo da subito. Le dissi che non saremmo usciti dall’aula al momento dell’approvazio­ne. Ma lei rifiutò. Il Pd su questo tema ora ci darà una mano? Finora ha parlato dei pregi. Ma quali limiti immagina? Gli stessi previsti per i parlamenta­ri, non vedo perché inserirne di più: vanno garantite le coperture finanziari­e, la costituzio­nalità e ci saranno materie escluse, come i trattati internazio­nali.

Come funzionerà in concreto?

Un gruppo di cittadini elabora una proposta di legge che viene sottoposta al vaglio di am- missibilit­à della Consulta. Se passa, si lascia il tempo per raccoglier­e le firme (6 mesi, per esempio) che nella nostra proposta erano 500 mila. Al termine della raccolta, la proposta diventa oggetto di referendum senza quorum. Esiste anche l’ipotesi che a quel punto il governo faccia una sua controprop­osta, magari frutto di maggiore competenza tecnica: si sottopongo­no il quesito popolare e quello governativ­o. Figuratevi che di solito, quando c’è da scegliere, passa quasi sempre il secondo. L’opposizion­e ai “populisti” si preannunci­a accesa. Come gestirà i rapporti col Parlamento?

Cercheremo di evitare quello che è avvenuto in questi anni: la continua decretazio­ne d'urgenza, il dibattito imbavaglia­to. Non faremo agli altri quello che hanno fatto a noi.

Bisogna dare la possibilit­à di imporre temi nell’agenda politica. Pensate se avessimo potuto per il conflitto di interessi...

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